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Olimpiadi: sui social vincono i “perdenti”

Olimpiadi: sui social vincono i “perdenti”. Eliminati per un soffio o sfortunati, i quarti posti sfondano sui social perché più vicini a noi, ai nostri fallimenti e al nostro rifiuto di essere giudicati unicamente per le nostre performance

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Olimpiadi: sui social vincono i "perdenti". Eliminati per un soffio o sfortunati, i quarti posti sfondano sui social perché più vicini a noi, ai nostri fallimenti e al nostro rifiuto di essere giudicati unicamente per le nostre performance
Crediti foto benedetta.pilato Instagram

Le Olimpiadi di Parigi del 2024 sono state tra le migliori per quanto riguarda le medaglie conquistate dall’Italia, che si dimostra una potenza sportiva con cui fare i conti. Nonostante questo sui social tricolori c’è stata più attenzione mediatica per i quarti posti, gli atleti in difficoltà e la mancanza di empatia da parte dei telecronisti nostrani nei loro confronti, che per gli atleti saliti sul podio. Successo social che ha persino avuto una prestigiosa sanzione istituzionale: il presidente Mattarella infatti il 23 settembre riceverà al Quirinale anche gli atleti arrivati al quarto posto per la riconsegna del tricolore. Vediamo il perché di questo successo dei “perdenti”.

La stanchezza della performance

Ormai la misurazione dell’efficienza è ovunque: a scuola, al lavoro, nel tempo libero, sul materiale che postiamo sui social. In ogni ambito della nostra vita siamo misurati per quanto produciamo e rendiamo, e questo viene fatto con l’intento di premiare i migliori, quindi di instaurare la tanto decantata “meritocrazia”. Questa percussività della misurazione della performance ha creato nelle nuove generazioni una stanchezza cronica nei confronti della performance in sé e di chi misura gli altri in base alle loro performance, stanchezza che talvolta si trasforma in ansia cronica e in depressione, talvolta in un rifiuto ideologico di qualsiasi unità di misura e di gerarchia basata sul merito. Ma che c’entra questo con lo sport?

La differenza fra competere ed essere ossessionati dal vincere

La stanchezza per la performance e la meritocrazia ha portato ad un cambio di mentalità delle nuove generazioni su come approcciare lo sport: non più come una sfida per primeggiare sugli altri, ma come una sfida contro se stessi e i propri limiti, una sfida che quindi non genera gerarchie di merito né può essere misurata con standard universali, poiché ognuno ha i propri limiti da vincere che sono diversi (talvolta opposti) a quelli di un altro. Questa nuova visione dello sport ha trovato il suo simbolo in Benedetta Pilato, la nuotatrice arrivata quarta per un centesimo di secondo e felice del suo risultato, perché rappresenta una vittoria rispetto a ciò che si attendeva da sé stessa, e poco le importa se dal punto di vista dei canoni olimpici i quarti posti non valgono nulla, dato che i canoni oggettivi non sono quelli su cui stabilisce i suoi criteri di vittoria o sconfitta.

Due mondi che si scontrano

Come ogni simbolo di una nuovo modo di vedere il mondo, la Pilato è stata fraintesa e attaccata. La prima a non capire il cambio di mentalità rappresentato dalla Pilato è stata la telecronista Rai Elisa di Francisca, che subito dopo la gara, intervistando a caldo la nuotatrice, è rimasta delusa dalla felicità della Pilato nonostante il quarto posto. Una felicità che per la millennials Di Francisca era (ed è) incomprensibile: per l’ex campionessa di fioretto infatti non salire sul podio è un fallimento, che deve generare rabbia e delusione, necessari per trovare la spinta psicologica per asfaltare gli avversari nelle competizione succesiva.

Benedetta Pilato una di noi

Perché gli utenti social hanno empatizzato in massa con Benedetta Pilato? Perché il suo essere felice nonostante l’aver mancato l’obbiettivo oggettivo assomiglia alle tante piccole sconfitte per un soffio che proviamo nella nostra vita. Il lavoro per cui non siamo stati presi per una domanda sbagliata nel test, l’esame all’università non superato per un punto, il post che non è diventato virale per qualche condivisione di meno, ecc. Ognuno di noi ha sperimentato e sperimenterà il fallire per un soffio, e in questo fallire deve comunque mantenere equilibrio e soddisfazione, perché nella società della performance la sfida è continua e quindi anche il fallimento è continuo. Benedetta Pilato ha dimostrato in diretta a tutti noi come convivere in maniera psicologicamente sana con il fallimento, trasformandolo in una vittoria contro se stessi.

Elisa di Francisca invece è una di loro

All’opposto di Benedetta Pilato c’è Elisa Di Francisca: l’ex campionessa è stata travolta dalle critiche, che hanno visto in lei il peggior esempio di spietatà competitività, mancanza di sensibilità ed empatia, culto della vittoria a tutti i costi. La Di Francisca è la prima a non aver capito il perché delle critiche: la sua visione del ruolo dell’atleta, dell’importanza della medeglia ecc, sono quelle tradizionali, che nessuno aveva fino ad ora messo in questione, e che lei riteneva sacrosante. La Di Francisca nei social è diventata il simbolo di “loro”: il professore che ci boccia indifferente ai nostri problemi d’ansia, il datore di lavoro che ci licenzia nonostante i nostri problemi familiari, il pubblico social che ci massacra per una foto venuta male.

Quale futuro?

Il cambiamento di sensibilità per quanto riguarda il ruolo della vittoria e della sconfitta nello sport non è una moda, ma risponde a più ampi e profondi cambiamenti sociali. Il problema è capire come lo sport in sé e la narrazione dello sport sui media possa adattarsi a questo cambiamento: in questo contesto ha ancora senso l’abisso che c’è fra chi sale sul podio e chi non ci sale? L’ossessione per il numero di medaglie accumulate a fine giochi? Come può sopravvivere l’epica del vincitore in un contesto in cui la gente si sente emotivamente più vicina ai perdenti? Sono tutte domande a cui non è ancora possibile dare una risposta, ma sono quelle a cui saranno chiamati a confrontarsi gli organizzatori delle Olimpiadi 2028.

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