Mei/Indipendenti
Mei, Rubrica. MUSICA IN GIALLO. Effenberg e il profondo Indie avanguardista
Di Roberta Giallo
EFFENBERG E IL PROFONDO INDIE AVANGUARDISTA – LA DELICATEZZA DECADENTE DI “ORIETTA”
“In questi giorni di quarantena ci siamo voluti ricordare quanto è bello andare in giro a suonare”, questo è quanto Effenberg, al secolo Stefano Pomponi, scrive sotto il video home made di “Orietta”, da poco pubblicato su YouTube; per ricordare e ricordarci, in effetti, di come sia bella la vita vera, la vita “libera” dei giovani che con uno strumento in mano se ne vanno a portare in giro la propria musica, con quel misto di gioia e tristezza che la vita di un artista può comportare. E a dispetto delle definizioni che non amo in genere, quando dico che Effenberg dovrebbe avere una cetificazione “Indie”, lo dico con certezza, perché a differenza di chi è partito con l’aura gloriosa dell’indipendente-decadente, l’aura di chi evolve solitariamente e da vero indipendente con la propria musica, per poi “cedere” al mercato mainstream, anche assecondandolo con scelte mirate di suono e stile (e questa non è una critica, il mio “cedere” non ha quell’intenzione; intende però enucleare quel passaggio che porta un indipendente a ragionare/essere portato a ragionare con la mentalità da major/mainstream, per via di occasioni fortuite che gli cambiano la vita), lui è rimasto profondamente indie, e credo lo rimarrà sempre, pur evolvendosi, sia nella forma che nella sostanza, proprio come lo avevo conosciuto ormai 4 anni, (5 anni?) or sono, credo.
E voglio ricordare come e dove. Anni fa mi venne l’idea di creare a Bologna una rassegna dedicata ai cantautori e alle cantautrici, “Martedì in Giallo”, ma non solo, una rassegna, diciamo così, aperta a chiunque proponesse musica propria, a mio giudizio, “di qualità”. La “cosa” prese vita al Bravo Caffè di Via Mascarella 1, ormai storico locale Bolognese divenuto famoso ai più per gli eccellenti nomi del Jazz avuti in calendario, e parlo di eccellenze internazionali oltreché naturalmente autoctone. Bene, a me venne in mente di portare in un locale conosciuto per lo più per grandissimi e affermatissimi nomi proposti, anche “personaggi” meno noti, diciamo agli esordi, proprio per annullare le distanze tra fama e qualità, che tendenzialmente coincidono, ma più spesso escludono la qualità dalla fama, che si sa, proprio come il successo, è dovuto ad un gioco di incastri, fortune, amicizie, destino…
E in quella rassegna in cui io curavo con passione la direzione artistica, accolsi con grande curiosità ed entusiasmo questo ragazzo di nome Effenberg, di cui avevo ascoltato una canzone su youtube che mi aveva colpito, soprattutto per l’autenticità che mi arrivava. E quell’autenticità era data a mia percezione da una certa capacità di raccontarsi senza fronzoli, andando a colpire in profondità certi recettori di quella sensazione che chiamo nostalgia-mista-a-malinconia. Ecco, Effenberg, mi arrivò dritto al cuore in virtù di quel suo essere senza filtro, “low profile”, e molto, molto contemporaneo.
Diciamo che non tradì le mie aspettative, anzi, nel live che tenne al Bravo, capii che in lui c’era un fare artistico, al di là della sua inclinazione all’essere cantautore del più profondo e autentico indie (con tanto di dischi allora stampati a casa, con il foglietto di copertina forse scritto a mano, o stampato al pc, in autonomia ovviamente): un fare artistico programmatico e contemporaneo, che cercherò di “spiegare”.
Prima ancora, molto prima che la frase di Tommaso Paradiso sulla durata sterminata del vocale arrivasse anni dopo per diventare iconica, Effenberg il vocale di non so quanti, ma davvero tanti minuti, l’aveva non solo ricevuto dalla sua allora compagna tra l’altro presente nel locale, ma drammatizzato, ovvero utilizzato in scena, sul palco, prima che partisse la canzone. E il vocale era “tosto”, ovvero non ricordo bene se contenesse un rimprovero, o una specie di tentativo di lasciarlo… ma tant’è, fu una cosa a mio avviso follemente artistica, un atto “oltre” il solito, dall’appeal estremamente contemporaneo. E il suo autore, che aveva riconosciuto dell’arte nel vocale della propria compagna, aveva fatto qualcosa di familiarmente vicino a Duchamp. Per quello ho amato la sua cifra, fin da subito. Oltre alla musica, a quella nostalgia di stampo “casalingo” (e il casalingo per me è nobilitante in questo caso), c’era un pensiero dietro, una volontà rappresentativa dei tempi e del suo personale vissuto.
Poi passarono gli anni, venne Paradiso, Effenberg aprì i concerti di Luca Carboni in “mezza” Italia, diventando quindi anche lui una “mezza” celebrità.. e io oggi sono qui a dirvi di ascoltarlo, nella sua dirompente verità low profile… e anche di allargare gli ascolti, dopo Orietta, magari su Spotify, che di canzoni interessanti Effenberg, al secolo Stefano Pomponi, ne ha pubblicate già tante.
Un caro saluto, amico e collega, spero di rincontrarti su un bel palco, che sia indie, pop, mainstream, a Bologna, a Berlino o a Madrid…
Leggi QUI l’articolo originale sul sito del MEI – Meeting delle Etichette Indipendenti.
Laureata in Scienze Filosofiche, Roberta Giallo è cantautrice, autrice, performer, pittrice etc. Si definisce un “ufo” o “un’aliena perennemente in viaggio”. Ha già scritto di musica per Vinile e All music Italia. Musica in Giallo è la sua prima rubrica musicale per MeiWeb e OaPlus.
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