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Musica italiana

Max Casacci: «In Earthphonia metto in musica la meraviglia della Natura»

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Colonna portante e fondatore dei Subsonica, sperimentatore musicale a tutto tondo. Max Casacci, in attesa che l’emergenza Covid si plachi per tornare in tour con gli storici compagni di viaggio – c’è il tour di “Microchip Temporale” in sospeso e da cui ripartire quando l’incubo Covid sarà sparito – si immerge nei suoni e nella meraviglia della natura e presenta il suo nuovo lavoro “Earthphonia”.

Dimenticate le chitarre, i distorsori e quant’altro: nessuno strumento musicale e nessuna (o quasi) voce umana. In questo disco Max Casacci ci porta alla scoperta dell’ambiente e dei suoi suoni, e lo fa lanciando un duplice messaggio: da una parte quello divulgativo, di far conoscere la bellezza del mondo che ci circonda; dall’altra, e forse anche più importante, quello di lanciare un grido d’allarme per quel “climate change” che la pandemia e il suo sviluppo hanno inevitabilmente fatto scalare in un piano secondario delle agende informative. Ma che rimane sempre un pericolo tangibile, soprattutto quando, a emergenza finita, l’umanità premerà per tornare al più presto a quella normalità tutt’altro che salutare per le sorti del pianeta.

Otto le tracce che compongono il disco, uscito sia in formato digitale sia in formato fisico abbinato a un libro contrappuntato dal divulgatore Mario Tozzi. Abbiamo parlato con lo stesso Max Casacci per farci raccontare la genesi e lo spirito di “Earthphonia”.

Come è nata l’idea di questo disco e come si è sviluppata?

Nel corso della mia carriera musicale, non è stata la prima volta che ho sperimentato con i rumori. Ma sin qui lo avevo sempre fatto in contesto “urbano”: i rumori di Torino, il traffico della città o, ad esempio, quelli dello stadio. Ma qui per la prima volta mi sono trovato a confrontarmi con i suoni della natura e dell’ambiente. Il tutto è nato perché mentre mi trovavo in vacanza sull’isola di Gozo, vicino a Malta, sono venuto a conoscenza del fatto che in quella località c’erano delle pietre che se in apparenza altro non sembrano appunto che dei semplici sassi, in realtà sono in grado di emettere dei suoni se percosse con altri oggetti o fra di loro. Così io e il mio amico HatiSuara, che è musicista e videomaker, abbiamo cominciato a fare delle registrazioni per puro divertimento e alla sera, analizzando al computer il materiale, abbiamo scoperto si poteva trasformare in tutto e per tutto in un brano musicale. Così è nato “Ta’ Cenc”, dal nome della località in cui abbiamo registrato.

Dopo questo primo step, come si è evoluto il progetto?

Qualche mese più tardi, l’artista Michelangelo Pistoletto mi chiede, dopo aver ascoltato il brano, se fossi stato in grado di creare un brano dai rumori del fiume che scorre a Biella dal momento che gli serviva per il suo progetto “Terme culturali” che stava allestendo proprio a Biella, sua città natale. Io rispondo subito di sì, ma allo stesso momento comincio a sudare freddo perché lì per lì non avevo assolutamente idea di come fare tutto ciò. Alla fine però dopo qualche giorno di ricerche e registrazioni, sono riuscito a venirne a capo e dopo un paio di mesi di lavorazione, ho presentato il risultato con grande soddisfazione dello stesso Pistoletto che mi ha proprio ricavato uno spazio nella sua Città d’Arte. E così anche il secondo brano, “Water memories“, lo avevo incastonato.

Insomma, la macchina si era ormai messa in moto…

Sì. Oltretutto, essendo coinvolto Pistoletto, la notizia della nascita di questo brano era circolata ed ero stato contattato dall’Ente del Delta del Fiume Po in Emilia Romagna per un’operazione analoga. Ma quando era tutto pronto per la partenza, è arrivato il lockdown e ho dovuto fermare tutto. Tuttavia mi sono fatto recapitare a casa suoni e rumori di quei luoghi e ho cominciato a lavorarci: dopotutto, come avevo realizzato i suoni dell’acqua, avrei potuto realizzare un brano con i suoni dell’aria. Inoltre, il lockdown ha fatto sì che avessi molto tempo a disposizione per mettermi a ragionare con calma e investire di più su questo progetto.

A livello meramente tecnico, invece, come è avvenuta la registrazione?
I suoni, dopo essere stati registrati, sono stati pesantemente manipolati con varie tecniche. Da quelle basilari come il campionamento ad altri ben più complesse. Variandone poi l’utilizzo in base al pezzo. Ad ogni modo non è stato usato alcuno strumento musicale tradizionale, ma solo campionatori.
Il disco è ascoltabile non solo in formato digitale, ma anche in formato “fisico”, accompagnato da un libro. Ci racconti qualcosa in più su questo libro?
L’idea è partita dalla constatazione che nell’attuale mercato discografico il supporto fisico sembra non avere più spazio. Io però volevo che questa musica avesse anche un suo luogo fisico e non solo le piattaforme streaming digitali. E allora, dato che dietro alla registrazione di “Earthphonia” c’è un intreccio di tante storie ed esperienze, ho pensato che raccontarle potesse dare un qualcosa in più all’ascolto del disco. E’ un qualcosa che ne completa l’esperienza.
Fra i vari contributi c’è anche quello del divulgatore Mario Tozzi. Come è nata la collaborazione con lui?
L’idea in realtà è stato dell’editore (Slowfood Edizioni, ndc): chiacchierando con il responsabile sullo sviluppo del libro, è venuto fuori che a quel “dream team delle tematiche ambientali” mancasse la ciliegina sulla torta. E così è venuto fuori il nome di Mario Tozzi, il quale ha contrappuntato il racconto calandosi nella parte dei vari ecosistemi e dando loro voce, immedesimandosi in essi e dando giudizi, ovviamente non troppo lusinghieri, circa l’operato di noi “sapiens” nei confronti dell’ambiente.
Prima che scoppiasse l’emergenza Covid, il problema del cambiamento climatico era finalmente diventato prioritario anche nei media. Secondo te c’è il rischio che una volta che sarà finita la pandemia, la voglia di tornare alla normalità e di “recuperare il tempo perduto” vanifichi quanto fatto in questi anni sul fronte clima? E nel caso, cosa si può fare per minimizzare questo rischio?
Il rischio ovviamente c’è, ma non sottovaluterei l’energia dei ragazzi e la loro voglia di ricostruire qualcosa quando tutto questo sarà finito. Certo, ora come ora è difficile, perché “Fridays for future” e altri movimenti simili basano la loro forza sulle aggregazioni che in questo periodo sono vietate, ma qualcosa si intravede. E tutto sommato anche un disco come “Earthphonia” può essere un utile strumento perché è pensato per stimolare l’empatia verso l’ambiente. Suscitare la meraviglia per far passare il messaggio che si può empatizzare con l’ambiente ed esserne attratti a tal punto da esso che si capisce che è quanto di più bello ci circonda e va difeso a ogni costo.

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Crediti foto: Luca Saini/ufficio stampa GPC