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L’incredibile exploit del Nu Jazz londinese

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London is jazz playlist

Tra i nuovi artisti londinesi che hanno dato vita alla rinascita del jazz: Kamaal Williams, Yussef Dayes, Zara McFarlane e Jordan Rakei. Ecco l’analisi della categoria e la playlist tematica “London is Jazz”

London is open non è solo lo slogan del sindaco della capitale del Regno Unito Sadiq Aman Khan, impegnato negli ultimi mesi in una forte campagna di sensibilizzazione per difendere i diritti dei cittadini immigrati in caso di una Brexit dura. “London is open” è un dato di fatto. Basta andarci per rendersene conto: tra i suoi 8 825 000 abitanti si muovono infatti anime provenienti da tutto il mondo, contribuendo alla raffigurazione più realista del “Melting pot”.

Ed è stata proprio questa straordinaria diversità a far sbocciare in Inghilterra, più precisamente a Londra, una vera e propria renaissance del Jazz, da molti considerato ormai morto, sepolto ed elitario, alla stregua della musica colta per antonomasia, quella classica.

Il Big Bang è scoppiato nel 2015 da oltreoceano, ma non da New Orleans, culla del genere fin dagli albori, ma dalla California, patria del sassofonista Kamasi Washington e del rapper Kendrick Lamar, due artisti che hanno dato uno scossone fortissimo al jazz rendendolo, con i due album capolavoro “The epic” e “To pimp a butterfly“, maledettamente interessante agli occhi delle nuove generazioni.

Ecco allora che direttamente dalla capitale britannica ragazzi giovanissimi dai 20 ai 30 anni, provenienti da quartieri, origini e storie diverse, iniziano a incontrarsi per comporre la loro musica mischiando il jazz classico con le influenze più disparate come l’elettronica, l’hip hop, l’afrobeat, il nu soul, l’urban e i ritmi latini. Il risultato fu straordinario, il successo fulmineo.

Già nel 2016 il movimento britannico segna un primo passo fondamentale con “Black focus“, disco culto formato dalla premiata ditta (scioltasi dopo pochissimo tempo) Youssef Kamaal, ovvero Kamaal Williams (tastierista) e Yussef Dayes (batterista), entrambi inglesi di origine araba. L’album è un trionfo acid jazz, una specie di flusso sonoro continuo dove riecheggi dei Return to Forever incontrano atmosfere contaminate da jungle, funk e grime. Il progetto discografico, pubblicato il 4 novembre 2016, porta la firma di Gilles Paterson, figura di spicco della scena e fondatore della Brownswood Recording, etichetta discografica che, un anno e mezzo dopo, precisamente nel gennaio 2018, ha lanciato “We out here“, compilation che è diventata in pochissimo tempo un vero e proprio manifesto della rinascita: 9 tracce in cui si susseguono artisti che, nel corso del tempo, sono diventati punto di riferimento assoluti come gli eclettici Ezra Collective, Moses Boyd, la sassofonista Nubya Garcia, il visionario Joe Armon-Jones e il collettivo Korokoko, autore della composizione più iconica, “Abusey Junction“, in cui un riff di chitarra (suonata dal talento Oscar Jerome) ci porta in un momento di sospensione assoluta, tra rilassatezza e nostalgia.

All’impulso dato della Brownswood hanno risposto inoltre altre importanti realtà come Jazz Re: Freshed, movimento nato nel 2003 come semplice promotore di eventi locali e diventato con il passare dagli anni prima un importantissimo Festival itinerante (in scena ogni anno anche in Italia) poi una vera e propria label. Il jazz londinese in soli due anni diventa dilagante, i giovani jazzisti londinesi sono cool, molti curano nel dettaglio anche la componente estetica e, soprattutto, rivolgono la propria attenzione al pubblico più giovane: i concerti dunque non vengono più inseriti nel solito giro dei circoli ristretti, ma impazzano anche nei club fino a conquistare la piattaforma Boiler Room, famosa nel mondo per fare divertire la gente ospitando i dj producer più importanti del mondo.

 

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Il successo, come sempre, crea delle spaccature. Non per niente Kamaal Williams, dopo la rottura fulminea con Youssef, dice addio alla Brownswood e fonda una sua personale etichetta discografica, la Black Focus, pubblicando la prima fatica solista “The ruturn, in cui le tastiere del musicista portano l’ascoltatore nel ritmo frenetico urbano londinese per quarantacinque minuti di montagne russe tra funk, acid, fusion e garage. Tra gli artisti cardine della label di Williams figura Mansur Brown, chitarrista che ha pubblicato l’ottimo “Shiroi” accompagnato da mostri sacri come Thundercat al basso e Robert Glasper al pianoforte.

Ma non è solo la musica strumentale a subire delle sostanziale modifiche. Anche la vocalità si allontana dall’impostazione classica sposando la contaminazione. Basti pensare alla bravissima Zara McFarlane che, con il suo “Arise“, ha trovato l’equilibrio perfetto muovendosi tra il soul e la musica giamaicana, sua terra di origine. Il più introspettivo Jordan Rakei invece raccoglie la lezione di musicisti del panorama soul alternativo come Sampha, Sohn, e James Blake proponendo, soprattutto con uno dei suoi ultimi lavori “Origin“, un’idea di suono estremamente compatta oscillante tra gli accenti soul e l’elettronica ben prodotta.

A proposito di elettronica impossibile non citare i Blue Lab Beats, all’anagrafe Namali Kwaten e David Mrakpor, rispettivamente dj e polistrumentista di 21 e 25 anni. Tra hip hop e soul il duo ha conquistato la fiducia di praticamente tutta la scena inglese, costruendo un suono freschissimo consacrato con il disco d’esordio “Xover”, spalmato in 16 irresistibili tracce con featuring d’eccezione.

In soli tre anni quindi gli artisti jazz di Londra si sono presi la scena, partecipando sempre di più nei Festival più blasonati al mondo: in occasione dell’ultimo Glastonbury hanno calcato il palcoscenico, tra gli altri, i già citati Kokoroko, gli Ezra Collective e, nel main stage, The Comet is Coming, forse il progetto con più seguito e più rappresentativo della nuova wave: il trio, composto dal celebre sassofinista Shabaka Hutchings (attore principale della rinascita, già presente in “We out here” e attivo con i Sons of Kemet), dal batterista Max Hallett e dal tastierista Dan Leavers, propone un sound davvero unico in cui convergono free jazz, tranche, grime, hip hop ma anche rock psichedelico e spaziale. Un cocktail micidiale che ha stregato il pubblico ormai a livello globale.

Curiosità, sperimentazione, collaborazione e coraggio, sono forse questi quattro gli ingredienti principali della rinascita jazz inglese, una rinascita paradossalmente arrivata quasi in concomitanza con il referendum sulla Brexit, il cui responso ha, purtroppo, espresso esattamente il contrario di quanto successo nel mondo della musica. Contraddizioni inglesi.

PLAYLIST | LONDON IS JAZZ

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