Interviste
IndieGesta Talks Jazz – INTERVIEW WITH Jim Rotondi: impara dai Maestri ma cerca la tua voce
Jim Rotondi, trombettista americano e compositore d’eccezione, è considerato dalle più importanti riviste di settore uno dei migliori trombettisti jazz americani in circolazione. La sua carriera è costellata di collaborazioni leggendarie e fin da giovane si è trovato a suonare a fianco di Ray Charles e Lionel Hampton, tra i protagonisti delle loro big band. Ha registrato moltissimi dischi, come leader, sideman, compositore e arrangiatore e il suo suono è carico di personalità ma ha eleganza e delicatezza, la stessa con cui descrive il suo lavoro di insegnante. Maestro esigente ma sempre accogliente con i nuovi talenti e con chi come lui sul Jazz ha costruito la propria vita. Non ha bisogno di ulteriori presentazioni perchè quello che ci racconterà è già molto ricco ed eloquente. Certo è che se impari (e take, come dice lui) dai Maestri ma cerchi la tua voce non sbagli mai. Il Jazz ha un futuro, secondo queste promesse (e premesse)…stellare!
Stasera, domani sera e sabato sera Jim suonerà al Camera Jazz Club di Bologna, all’interno della programmazione del Bologna Jazz Festival: stasera e domani in quartetto con Matyias Gayer al pianoforte, Paolo Benedettini al contrabbasso e Adam Pache alla batteria (lo abbiamo menzionato anche nell’intervista con Rob Bargad) e sabato con la Steve Grossman Legacy Band, Piero Odorici al sax, Danilo Memoli al pianoforte, Stefano Senni al contrabbasso (anche lui nel trio con Rob Bargad) e Massimo Chiarella alla batteria.
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Qualcuno ti definisce un Artista “hard bop” ma ascoltando i tuoi dischi credo che emerga molto di più: un mix particolare di vecchia e nuova scuola, con un fraseggio elegante ed affascinante. Cosa pensi di questa “etichetta”? Certo, nel tuo stile riecheggiano Clifford Brown, Freddie Hubbard, Art Blakey, Kenny Dorham ma tu aggiungi anche il tuo modo di suonare la tromba, unico e personale, la tua storia, e li fai confluire in arrangiamenti suggestivi, come possiamo sentire nelle tue composizioni del disco “Dark Blue” (registrato Live al Sear Sound, Studio C, New York City e pubblicato nel 2016 per Smoke Sessions Records, ndA). I tuoi soli sono tra i migliori di quelli dei trombettisti jazz americani. Ho trovato un video suggestivo del making of (“dietro le quinte”) di Dark Blue: puoi raccontare qualcosa riguardo alla produzione, gli arrangiamenti, la band?
Per “Dark Blue” ho scelto musicisti con cui avevo una forte connessione, o con cui volevo suonare e registrare da lungo tempo. Ho da molto tempo una forte connessione con David Hazeltine (piano e piano elettr. Fender Rhodes) e Joe Locke (vibrafono), e con David Wong ho suonato insieme più volte e sono sempre stato impressionato dal suo modo di suonare. Così anche per Carl Allen (batteria), l’ho sentito dal periodo in cui lavorava con Freddie Hubbard quindi per me lui ha rappresentato una scelta piuttosto logica.
[Hubbard: trombettista, esordisce con Wes Montgomery, poi con Sonny Rollins, J.J.Johnson, John Coltrane. Partecipa all’album manifesto di Ornette Coleman Free Jazz: A Collective Improvisation. Nel ’61 entra nei Jazz Messengers di Art Blakey e suona in Ascension di Coltrane, Out To Lunch di Eric Dolphy e Maiden Voyage di Herbie Hancock, registra il brano A Peck a Sec., scritto da Hank Mobley, con Paul Chambers, McCoy Tyner, ndA].
Per quanto riguarda gli arrangiamenti e le composizioni, ci ho lavorato tanto tempo prima che iniziassimo a registrare, così quando è stato il momento di iniziare la sessione di registrazione ero completamente pronto. Riguardo all’etichetta “hard bop”, io non vado matto per nessuna di queste etichette perchè tendono ad inquadrare l’artista. Sono d’accordo con quello che dici: ho un’ampia varietà d’influenze, quindi il termine “hard bop” non è davvero preciso.
Hai suonato e condiviso molti momenti di vita con il grande Ray Charles e gli hai anche dedicato “Blues For Brother Ray”. Puoi raccontare qualche episodio dei vostri incontri e con la sua band?
Beh, ho lavorato con Ray per un tour intero durante tutto il 1991 e poi per alcuni concerti nel 1992, quindi è passato un pò di tempo ma le lezioni che ho imparato lavorando con lui mi accompagnano ancora oggi. Una cosa che ho imparato di sicuro è che era assolutamente talentuoso anche nello scegliere un materiale e farlo suo, mettendo la propria impronta su ogni song che suonava. Lavorare con lui non era sempre facilissimo in termini di condizioni di lavoro, era famoso per i ritmi di lavoro estremi, ed era molto esigente ma ho sempre sentito che quel tipo di lavoro sul carattere e stimolo per me che ero giovane era qualcosa di cui avevo bisogno all’epoca e conservo con affetto quell’esperienza.
Ricordo che hai detto in un’intervista che “quelli che non conoscono la storia sono condannati a ripeterla” e che quindi “è importante studiare gli artisti in profondità e prendere da loro quello che ti piace”… Menzioni spesso il lavoro che stai facendo con i giovani talenti da quando hai iniziato a insegnare al Jazz Institute dell’ University of Music and Performing Arts di Graz e sei mosso da grande entusiasmo per la loro educazione musicale: cosa osservi nelle nuove generazioni di musicisti?
Beh, sto vedendo molti sviluppi positivi nella musica adesso. Il livello di performance non è mai stato così alto e una delle più grandi cose di cui sono testimone, è che i musicisti ora sono completamente liberi di mixare ogni tipo di influenze nei loro propri generi musicali. C’è proprio un bel panorama.
E a proposito di “Storia” e “Giganti”: quali sono gli album e i saggi/manuali che i giovani non dovrebbero assolutamente perdere per strada? Quali sono i tuoi preferiti, da cui essere ispirati e risvegliati?
Non ho nessuna preferenza specifica riguardo ai manuali ma per i dischi da ascoltare eccome, tendo sempre a rimanere fedele ai classici. Le registrazioni di Louis Armstrong, Roy Eldridge, Miles Davis, Charlie Parker e John Coltrane, questi sono solo alcuni nomi, che resistono al tempo e andrebbero studiati.
Hai spesso raccontato di quanto tu abbia dovuto lottare duramente nei tuoi primi anni da musicista per trovare “la tua voce” e ricercare un tuo stile personale e basta sentire un tuo concerto per capire quanto tu ci sia riuscito! Quanto sono cambiati negli anni il tuo stile, il suono e la scrittura? E chi vedi come “nuovi talenti” del jazz?
In tutti questi anni come performer ho avuto la buona sorte di essere associato ad alcuni compositori e arrangiatori davvero dotati, come David Hazeltine, Cedar Walton, Slide Hampton, Curtis Fuller e George Coleman, così come ho progredito nei miei studi, sono stato anche fortunato ad aver imparato da questi grandi mentori e amici. Quello ha fortemente influenzato il mio stile di scrittura e arrangiamento. Per rispondere alla tua domanda sui nuovi talenti nella musica, ce ne sono una gran quantità. Alcuni trombettisti che mi piacciono sono Michael Rodriguez, Bruce Harris, Marquis Hill, Ryan Kisor…e potrei continuare a lungo!
Hai co-fondato il gruppo “One For All” e registrato molti dischi con loro. Il tuo grande talento è noto, e anche quello dei tuoi colleghi ma oltre i vostri “grandi momenti”, quali sono le difficoltà che una band potrebbe incontrare, anche secondo le tue numerose esperienze passate in big band, con Ray Charles, Lionel Hampton, Toshiko Akiyoshi, Bob Mintzer, tra gli altri?
One For All è un gruppo veramente incredibile che ha una sua chimica unica. Ma è un gruppo per cui è sempre stato difficile promuovere e organizzare concerti, perchè è un sestetto, e l‘economia globale del jazz adesso non sostiene gruppi di quella misura. Così quando si inizia a parlare di gruppi ancora più grandi, come quello di Ray Charles, Lionel Hampton, Toshiko e Bob Mintzer, che sono proprio big bands, puoi immaginare quanto sia ancora più difficile gestire e far lavorare gruppi di quella grandezza.
[Organico One For All : Eric Alexander al sax tenore, Jim Rotondi alla tromba, Steve Davis al trombone, David Hazeltine al piano, John Webber al contrabbasso e Joe Farnsworth alla batteria. La band è spesso stata paragonata al Jazz dell’etichetta Blue Note nell’era dei sixties e ai Jazz Messengers di Art Blakey, ndA]
E a proposito di band e dischi, hai qualche nuovo progetto in uscita che vuoi condividere con noi?
Sono felice che tu me lo chieda. Proprio in settembre, quindi un mese fa, ho finito di registrare quello che probabilmente è il mio progetto più ambizioso, che coinvolge una big band jazz e un’orchestra d’archi che suonano tutte le mie composizioni originali. Siamo ancora nel processo di finalizzazione in post produzione, quindi non so esattamente quando uscirà ma spero a fine primavera o estate 2022. Conterrà contributi dal grande trombonista Steve Davis (con lui nei “One For All”, ndA) e il talentuoso giovane pianista Danny Grissett.
Suonerai stasera, domani e sabato sera al Camera Jazz Club di Bologna, all’interno della rassegna di Bologna Jazz Festival ma questo è uno dei tuoi numerosi viaggi qui in Italia. Anche il tuo cognome suggerisce “italianità” ma sono curiosa di sapere da te se hai radici italiane…
In realtà sì, assolutamente si. Mio nonno dalla parte di mio padre emigrò negli Stati Uniti nei primi del ‘900 da una città vicino Napoli, Avellino. Io sono nato nel Montana…..Grazie per avermi coinvolto in questa intervista e, per tutti gli ascoltatori lì fuori: il jazz e i concerti stanno tornando, quindi spero di vedervi tutti molto presto!
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ENGLISH VERSION:
Someone has defined you an “hard bop” Artist but listening to your records I think much more comes out: a special mix of “old” and “new school”, with an elegant and graceful phrasing. What do you think about that label? Of course, in your style echoes Clifford Brown, Freddie Hubbard, Art Blakey, Kenny Dorham, but you also convey your personal and unique way, your story, in impressive and suggestive arrangements, as we can listen in your Dark Blue‘s compositions. Your solos are some of the best in american trumpet players’ world. I found a cool “making of” short video on YouTube about Dark Blue: can you tell something about the production, arrangements/musical choices, the band…?
For “Dark Blue”, I chose musicians that I either had a close connection to, or I had wanted to play and record with for a long time. I have a strong long-standing connection with David Hazeltine and Joe Locke, and David Wong is someone had played with a fair amount and was always completely impressed with his playing. As far as Carl Allen, I have been listening to him since the days he was working with Freddie Hubbard, so he was very much a logical choice. As far as the arrangements and compositions, I had been working on all of these for a long time before we did this recording, so when the session actually happened, I was completely ready. About the label “hard bop”, I guess I’m not really too crazy about any of these labels because they tend to put the artist in a box. I tend to agree with what you said here: I have a wide variety of influences, so that term “hard bop” is really not accurate.
You played and shared many life times with Ray Charles and tributed him “Blues For Brother Ray”, can you tell some episode of your encounters, the band and work together?
Well, I worked with Ray for one complete tour in 1991 and then a few concerts in 1992, so it was a while ago, but the lessons I learned working with him still stay with me today. One thing that I learned for sure, is that he was absolutely brilliant at choosing material, and then making it his own; putting his imprint on each song that he did. Working with him was not always the best in terms of working conditions, but I’ve always felt that that kind of character development was something I needed at that time, and I cherish it.
I remember in an interview you said that “Those who don’t know history are doomed to repeat it”, that’s why “(it’s important) to study the artists in depth and take from them what you like”. You often mention with love the work you’re doing with your students since you started teaching Jazz Trumpet at the Jazz Institute University of Music and Performing Arts Graz: what do you observe in new musicians generations?
Well, I actually see a lot of positive developments happening in music right now. The level of performance is as high as it ever has been, and one of the great things to witness for me, is that musicians now are completely free to mix any and all kinds of influences into their own kind of music. You might say there are even more resistant to descriptive terms than I am.
And speaking of History and Giants: what are the albums and the books/manuals they shouldn’t miss on their path? What is your “eyeopening” and inspiring top five?
I’m not sure about any specific books or manuals, but as far as albums, I tend to stick with the classics. The recordings of Louis Armstrong, Roy Eldridge, Miles Davis, Charlie Parker, and John Coltrane, just a name a few, absolutely stand the test of time and are required study.
You’ve often talk about how hard you struggled during early years as a musician to find your own voice and style and we can hear you fully succeed in it! How your voice, the sound, and writing style have changed in years and Who do you see as “new talents” in jazz?
Over the years as a performer I’ve had the good fortune to be associated with some really gifted composers and arrangers, such as David Hazeltine, Cedar Walton, Slide Hampton, Curtis Fuller and George Coleman, so as I have progressed in my studies, I’ve been fortunate to have learned from these great mentors and friends. That has strongly influenced my writing style in my arranging style. To your question about new talents in the music, there are a great many. Some trumpet players I like are Michael Rodriguez, Bruce Harris, Marquis Hill, Ryan Kisor... I could go on forever.
You co-founded the famous “One For All” group and recorded many cds with them. We all know your huge talent, and the one of your colleagues, but besides “the Great Times” you share, what are the difficulties a band could meet, also according your many and different experiences with the Ray Charles, Lionel Hampton, Toshiko Akiyoshi, Bob Mintzer big bands?
You mention One For All, a truly great group that has its own unique chemistry. But it’s a group that has always been difficult to promote and book in performing venues, because it’s a sextet, and the global jazz economy right now doesn’t really sustain groups of that size. So when you start to talk about larger groups, such as Ray Charles, Lionel Hampton, Toshiko, and Bob Mintzer, since those are big bands, you can imagine how much more difficult it is to manage an employ groups of that size.
You’re playing these days at Camera Jazz Club in Bologna, for Bologna Jazz Festival, and this is one of the several times here in Italy. Also your last name suggest “italianity” but I’m pretty curious to know from you if actually there’s an italian root
Actually, yes there is. My grandfather on my father’s side immigrated to the USA in the early 1900s from a city near Naples called Avellino.
Do you have any new recording projects coming out anytime soon that we should know about?
Actually, I’m glad you asked that. Just this last September, so about a month ago, I finished recording what is probably my most ambitious project, including a jazz big band and a string orchestra and featuring all of my own original compositions. We are still in the process finishing the post production work, so I don’t know exactly when it’s going to be out, but I’m hoping for late spring or summer 2022. He will be featuring contributions from the great trombonist Steve Davis, and great young pianist Danny Grissett. I thank you for inviting me to take part in this, and for all the listeners out there, jazz and concerts are coming back, so I hope to see all of you out there very soon!
Foto copertina: Mauro Cionci
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