Musica
Coronavirus. La scomparsa di Manu Dibango, il precursore della afro-disco
Aveva 86 anni e viveva a Parigi e negli ultimi giorni era risultato positivo al Coronavirus. Non ce l’ha fatta Manu Dibango, uno dei sassofonisti più conosciuti ed apprezzati al mondo e ritenuto padre di un genere, l’afro-disco che impazzò in mezzo mondo nella seconda metà degli anni ’70 e che si è protratta fino ai giorni nostri con tanti appassionati del genere.
Il capolavoro di Manu Dibango, nato a Douala in Camerun, nel 1933, arriva nel 1972 con Soul Makossa, un concentrato di jazz, soul e funk, mischiato ai ritmi tribali africani che lo ha reso famoso in tutto il mondo e che tuttora è uno dei pezzi più ascoltati e ballati dagli amanti del genere. Dopo questo pezzo, di fatto, nulla fu più come prima e, aggiungendo altre contaminazioni, il percorso sfociò in quella che viene chiamata Disco Music ma che, dal 1975 in poi, presentò diverse sfaccettature.
Michael Jackson, con il celebre campionamento della base di “Wanna be startin’ something”, uno dei pezzi dell’album più venduto della storia, “Thriller”, prodotto da Quincy Jones, rese omaggio a Soul Makossa di Manu Dibango, poi ripreso da artisti di grande rilevanza negli anni ’90 e 2000 con Kanye West, Rihanna, Will Smith e Jennifer Lopez.
Un polistrumentista versatile capace di trascinare e accontentare anche i palati più fini all’ascolto delle sue creazioni musicali: sassofono e vibrafono i suoi strumenti preferiti accompagnati da qualità vocali indiscusse a creare prodotti raffinati e commerciali al tempo stesso.
Fela Kuti, Herbie Hancock, Nino Ferrer, Bill Laswell, Bernie Worrell, Ladysmith Black Mambazo, Sly and Robbie, Eliades Ochoa, Peter Gabriel, King Sunny Ade, Angelique Kidjo, Youssou N’Dour e l’italiano Jovanotti gli artisti più importanti con cui ha collaborato in una carriera trentennale che lo ha visto pubblicare una trentina di album (molti anche dal vivo).
Al successo musicale si accompagnano numerosissimi riconoscimenti istituzionali, cittadinanze onorarie, cavalierati, sino alla nomina, nel 2004, di “Artista per la Pace” da parte dell’UNESCO. L’ultima sua apparizione italiana è stata un anno esatto fa, il 24 marzo 2019 al teatro Creberg, mentre il suo ultimo concerto si è tenuto a Parigi, città dove si era trasferito dal 1949.