Cinema
Borderlands: il film non convince i gamers
Borderlands: il film non convince i gamers. Roth dimostra come un videogioco di successo non garantisca un blockbuster, soprattutto se il film non cattura le atmosfere del gioco, limitandosi a qualche rimando obbligatorio per questioni di marketing
Sulla carta trarre un film dal videogame Borderlands era una scommessa a colpo sicuro. Una delle saghe più amate e vendute nel mondo dei videogiochi assicurava al film un base hardcore di spettatori innamorati del gioco, più una quota significativa di potenziali appassionati di cinema incuriositi da un film ad alto budget ispirato ad un universo fantascientifico ignorante e fracassone. Il problema di Borderlands però è l’aver deluso in primis i fan del gioco, e in secundis gli amanti del cinema pop che si sono trovati davanti ad un film mediocre. Vediamo cos’è successo.
Il fanservice che non convince la fanbase
Il problema del film Borderlands è nello scambiare il fanservice con l’approvazione incondizionata dei fan. Il film prende dal videogioco infatti quello che qualsiasi fan chiede: alcuni personaggi chiave, l’ambientazione spaziale, pezzi di trama, ma ciò che non rende è esattamente quello che i fan del videogioco chiedono, l’atmosfera. La saga videoludica di Borderlands deve infatti il suo successo all’atmosfera che riesce a creare: un ambiente di gioco fracassone e ipercolorato, con personaggi surreali e politicamente scorrettissimi. Il film al contrario è PG-13 pensato per un pubblico abituato ai film Marvel, esattamente il tipo di prodotto che un fan di Borderlands detesta.
Fare un film su un videogioco e non capire il videogioco
La questione però è più complessa: il regista Eli Roth e i produttori non hanno compreso cos’è che rende unico Borderlands come videogioco. La sua unicità è proprio l’essere un gioco anticinematografico: Borderlands infatti è nato come reazione all’iperrealismo cinematografico che spopola nei videogiochi dagli anni 2000 in poi. Mentre le triple A cercavano di diventare sempre più simili a film (nelle palette cromatiche, nelle pose fotografiche, nel riprodurre le leggi fisiche, ecc), Borderlands schiaccia l’acceleratore sull’irrealismo, sulla crassa ignoranza di qualsiasi legge fisica, rimarcando come i videogiochi possano dare quell’illusione di assoluta ed infantile libertà che il cinema non può dare.
Il film floppa, il videogioco aumenta le vendite
Mentre il film Bordelands si rivela un disastro al botteghino, la saga videoludica incrementa le vendite. Com’è possibile? Innanzitutto perché il clamore mediatico intorno al film è stato un ottimo servizio di marketing per la saga videoludica, convincendo chi aveva provato solo un capitolo o chi non aveva mai approcciato il gioco a interessarsi all’intera saga. Poi per il capillare impegno di siti, influencer, gamers professionisti nello stroncare il film mentre elogiavano il gioco, dimostrando come il peso mediatico degli influencer specializzati nei videogiochi oggi non sia da sottovalutare, dato che è lo stessa potenza di fuoco che ad esempio ha spinto a diventare un sucesso da manuale la serie tv Fallout.
Perché il flop di Borderlands è un monito
Il disastro economico di Borderlands non è interessante in sé, ma per il monito che lancia alle altre dozzine di operazioni di conversione di videogiochi in film (o serie tv) attualmente in atto. Dopo il successo di Fallout infatti c’è stata una vera e propria febbre fra i produttori cinematografici e le piattaforme di streaming che ritenevano di aver trovato il sacro Graal per rimpinguare le casse: convertire videogiochi di grande successo in film e serie tv di successo. Un entusiasmo che ha portato ad aprire i cantieri per circa 12 trasposizioni, più decine di altre attualmente in contrattazione. In questa cornice il flop di Borderlands può essere utile per riportare con i piedi per terra piattaforme e investitori, evitando che producano spazzatura con l’illusione che i gamers l’acquistino senza battere ciglio.
Il matrimonio fra videogiochi e cinema è in crisi?
Il flop di Borderlands non mina l’attuale matrimonio fra cinema e videogiochi. Il perché è semplice: l’equazione tot videogiocatori=tot paganti al cinema non è in sé sbagliata, dato che il mondo dei gamers attende con impazienza di vedere come il cinema traspone i propri amati videogiochi. Siccome i videogiocatori nel mondo sono attualmente il triplo di coloro che si recano nelle sale cinematografiche, l’idea di appoggiarsi a questa solida base per sfornare film ad alto budget capaci di ottimi guadagni è tutt’altro che un’illusione, il problema è come farlo.
Ecco Borderlands dimostra esattamente ciò che non va fatto: non va fatto un fanservice che è puro citazionismo senz’anima, non va preso il videogioco come spunto senza averne capito l’unicità, non vanno presi attori che non sono convinti dell’operazione perché non capiscono a che pro trasporre un videogioco. Sembrano tutte cose ovvie sulla carta, eppure Borderlands ha dimostrato che ad Hollywood l’ovvio non è di casa.