Cinema
Back to black – Un biopic che non rende giustizia ad Amy Winehouse
Il film, sulla vita di Amy Winehouse, manca completamente di approfondimento nei confronti dell’artista, tralasciando aspetti importanti della sua carriera.
Il 23 luglio 2011 ci lasciava nel suo appartamento di Camden Town, a Londra, Amy Jade Winehouse. Una delle voci bianche più belle di sempre, la cui profondità insolita e potenza della voce la hanno inserita di diritto nell’Olimpo della musica jazz e soul. Unendo R&B contemporaneo ad elementi di questi generi, l’artista e cantante ha ottenuto nel corso dei suoi 27 anni di vita titoli, riconoscimenti e plausi da critica e pubblico. Il suo stile eclettico, i suoi testi originali, sinceri, a volte sarcastici sono ancora oggi riconoscibili ed ascoltati. Elementi che hanno reso la sua figura di cantante e produttrice discografica una vera e propria leggenda del panorama musicale britannico. Per questo motivo, il biopic sulla sua vita e carriera musicale intitolato Back to black era tanto atteso. Non solo dai fan dell’artista, ma anche da tutti coloro interessati ad una personalità complessa e controversa, spesso oggetto di dibattito. La pellicola, che ha debuttato il 18 aprile nei cinema italiani, non riesce però a lasciare un’immagine positiva della cantante. E non rende giustizia alla voce, al talento e all’impatto musicale che Amy Winehouse ha rappresentato.
Un biopic, che non ha niente di un biopic
Raccontare la vita tumultuosa e tormentata di Amy Winehouse non era un compito semplice. E, probabilmente, non era neanche necessario. Dopo il documentario Amy del 2015, Sam Taylor Johnson ha preso in mano il difficile compito di dirigere una pellicola incentrata sugli anni della purtroppo breve carriera dell’artista. Dagli esordi, fino al successo ottenuto con i singoli e con gli album, che hanno catapultato la cantante in un vortice di successi e riconoscimenti, fino a scalare le classifiche musicali mondiali. Back to black si poneva quindi un compito arduo: tracciare l’immagine e l’identità di un’artista controversa, raccontando la sua biografia e le vicende personali e come queste hanno influenzato la sua musica. Fallendo clamorosamente nell’intento. La rappresentazione di Winehouse nel film appare come superficiale, mai convincente, e manca di un’esplorazione adeguata alla sua complessità. Come artista, e come persona.
Amy Winehouse non è al centro della trama
Era un compito arduo, e di facile insuccesso. Ma era complicato aspettarsi una peggiore trasposizione. A partire dalla trama. Back to black si proponeva, almeno nell’intento, di raccontare anche la cantante, presumibilmente, oltre che le vicende personali. Quindi, dai primi anni in cui si appassiona alla musica, sino alle prime canzoni, e ai primi successi. Eppure, tutto questo nel film appare marginale. La trama della pellicola si concentra quasi interamente sulla relazione tossica con suo marito, poi ex, Blake Fielder Civil. Andando a toccare anche aspetti della sua vita privata, dalla separazione dei genitori, dall’amata nonna Cynthia, fino ai disturbi alimentari, la dipendenza da alcol e droghe, ma sempre sullo sfondo di questa relazione. Ovviamente, il rapporto con Blake ha rappresentato una parte importante e a tratti essenziale della sua vita. Ma quello che traspare da Back to black è un’immagine prevalentemente negativa di Amy Winehouse, che non viene in realtà mai approfondita.
Assenza di musica e del processo creativo
Uno dei principali difetti del film riguarda la quasi totale assenza di indagine sul processo creativo di Amy Winehouse. Il film si concentra sulle sue vicende personali, per poi portare subito l’artista sul campo, in un concerto od in studio: non vediamo praticamente mai, tranne in una breve sequenza iniziale, Amy Winehouse scrivere i suoi testi, riflettere sulle note giuste da utilizzare, studiare e provare l’intonazione. Nel film musicale sull’artista, manca completamente l’indagine sul genio artistico. In questo contesto, gli intermezzi musicali appaiono come un frammento della sua esistenza. E non come un mezzo per esplorare la sua anima, come invece lei desiderava trasmettere. La musica viene quindi quasi accantonata, in favore di scelte di sceneggiatura discutibili. L’immagine che ne deriva è di una donna fragile, ma semplice e non artisticamente complessa.
Una regia discutibile
Taylor-Johnson, alla regia e allo script, si è sforzata di riportare la Amy Winehouse donna. Probabilmente anche davanti alla musica. La regista la ritrae come una persona vitale, innamorata, mai in reale pericolo. Tenta di restituire un’immagine di una Amy che attraverso i testi trasmette sè stessa. Eppure, durante la visione, qualcosa continua a mancare. Tutto quel che riguarda il genio artistico e la sua voce viene accantonato, a partire dalla trama stessa. Il film comincia con una giovanissima Amy alle prese con la chitarra, nella sua camera, ma in pochi istanti la locandina del suo album d’esordio viene catapultata sui bus di Londra. E, successivamente, vengono dati spazio e tempo inspiegabilmente lunghi a sequenze pressocchè inutili, come il ballo di Blake al Pub durante il primo incontro con Amy. Scorrono gli anni e gli eventi, ma senza mordente. Manca il brivido, manca la voce, manca il genio. Manca la musica.
Le interpretazioni: Marisa Abela fa quel che può
Nei panni di Amy, Marisa Abela. L’attrice britannica in questo ruolo ha il compito gravoso di tentare di riproporre il talento smisurato e la complessissima personalità della cantante. E fa il possibile, anche abbastanza bene: non stona con l’acconciatura classica da beehive, sorretta da Amy, e ci mette tutta sè stessa nel provare a riproporre le espressioni facciali tipiche. Ma, purtroppo, a differenza del documentario Amy del 2015, sul suo viso non scorrono i fantasmi della depressione, del dolore. Sembra aver studiato il personaggio, ma non averlo compreso a fondo nella sua dimensione più intima.
Back to black – Un tentativo fallimentare
Il biopic Back to black riduce la narrazione ad una visione una visione semplificata della vita della cantante, trascurando aspetti cruciali della sua personalità e della sua esperienza creativa. Le interpretazioni stereotipate e poco convincenti hanno completato una sceneggiatura edulcorata, incompleta, poco realistica. Il biopic su Amy Winehouse si rivela un film che manca l’occasione di celebrare il talento e la complessità dell’artista, offrendo invece una visione distorta e superficiale della sua esistenza e della sua musica. Mentre la colonna sonora del film resta un punto luminoso, il resto lascia molto a desiderare, mancando di approfondimento e sincerità, trascurando di dare spazio alla sua brillantezza artistica e alla sua straordinaria voce. Non rendendo giustizia nei confronti dell’artista e cantante, una delle voci più belle della storia della musica.