Attualità
Tony Effe divide l’Italia
Tony Effe divide l’Italia. Per gli over 30 i suoi testi sono pericolosi, per i più giovani invece recita un personaggio pensato per far soldi. Le due visioni non possono trovare un punto d’incontro: la questione infatti è se l’artista e la persona sono la stessa identica cosa come sostengoni gli over 30, o se l’artista non è che un personaggio pensato per far soldi sui social come invece ritengono i più giovani.
Tony Effe divide l’Italia. Quello dell’annullamento della presenza di Tony Effe al concertone di capodanno di Roma è diventato un vero è proprio affare nazionale. Il trapper romano ha incassato la solidarietà pressoché unanime dei colleghi, e spaccato nettamente l’Italia anagraficamente: boomers e millennials si sono schierati in massa per l’esclusione del trapper romano, mentre Gen Z e Alpha vedono nella decisione di Gualtieri l’ennesimo caso di discriminazione dei “vecchi” nei loro confronti. Il problema però è molto più complesso delle faide generazionali e della presunta misoginia del trapper romano, vediamo il perché.
La questione censura
Partiamo con un concetto base: non invitare Tony Effe al concertone di capodanno organizzato dal comune di Roma non è censura. Non lo è perché Tony Effe può liberamente cantare, pubblicare e diffondere il suo materiale dove e quando vuole, tranne al concertone di capodanno di Roma. La censura di un’opera d’arte presuppone che lo stato vieti all’artista di incidere, pubblicare e cantare in tutto il territorio nazionale, per timore di disordini pubblici (dovuti alle sue prese di posizione religiose, politiche, sociali et similia). Anche solo pensare che Tony Effe possa essere censurato dallo stato per motivi di ordine pubblico è ridicolo, dato che il trapper romano è perfettamente inserito nel mainstream mazionale.
La trap è arte?
Uno dei temi preferiti da opinionisti e leoni da tastiera è che a Tony Effe non va riconosciuta la libertà di espressione tipica dell’artista perché non fa arte, dato che non sa cantare e non ha argomenti d’interesse “sociale”. Il problema è che la musica pop non è ha mai seguito i criteri della musica colta, dove la perfezione dell’esecuzione, la preparazione professionale e il partecipare intellettualmente all’avanguardia artistica del proprio tempo è il minimo sindacale per essere del “giro”. La musica pop è nata come un passatempo creato dall’industria culturale del post seconda guerra mondiale, e per un insieme di cause accidentali (il declino di vendite della letteratura, i concerti di massa in sostituzione alle parate politiche, ecc) ha avuto alcuni artisti che hanno coniugato capacità tecniche a testi impegnati. Questo periodo è durato poco meno di 40 anni (da Elvis ai Nirvana), per poi sgonfiarsi come fenomeno di massa e tornare a nicchia in termini di vendite e prestigio negli anni 2000. Tony Effe quindi è l’espressione perfetta dei nostri tempi: compone canzoni pensate come passatempo, tecnicamente elementari e testualmente senza pretese, perché questo è quello che gli chiede la sua generazione. Detto questo, la libertà d’espressione non è un privilgio dell’artista con la A maiuscola, ma di chiunque si cimenti con un genere considerato arte.
L’abissale differenza fra divisivo e criminale
L’accusa mossa dai detrattori a Tony Effe è di comporre testi “divisivi” e che incitino alla violenza di genere, e già questa accusa dimostra una confusione concettuale enorme. Proporre opinioni divisive non è reato, dato che qualsiasi presa di posizione, perfino “la violenza sulle donne si combatte con l’educazione sentimentale nelle scuole”, è di per se stessa divisiva, cioè divide l’uditorio fra favorevoli e contrari, per non parlare dei dubbiosi e di chi non è interessato alla questione. Essere divisivi quindi non è reato, lo siamo quotidianamente ogni volta prendiamo posizione su un problema, caso mai il reato è “incitare alla violenza di genere”. Tony Effe lo fa? A leggere i suoi testi con occhio critico decisamente no. Quello che fa è parlare in prima persona di rapporti affettivi o sessuali fra adolescenti, sapendo che il suo uditorio li vuole sentire rappresentati in quel modo. Il problema quindi è perché ragazzi e ragazze si riconoscono in testi definiti dagli adulti violenti e misogini.
Disincanto, post-ironia e successo
Tony Effe ha mosso i suoi primi passi artistici nella Dark Polo Gang, uno dei gruppi più seminali e incompresi della trap italiana. La DPG si muoveva su un territorio inesplorato che mischiava il gusto per l’iperbole e la spacconata tipica dei romani, la post-ironia dei social (cioè l’ironia sull’ironia tipica dei toll del web), l’horror rap dei Truceklan e la perculata all’estetica mafiosa di serie cult come Gomorra. Un progetto unico, in cui i 4 membri fondatori (il quinto, Sick Luck, faceva solo le basi) impersonavano ciascuno un tipo umano della fauna rap romana, Tony Effe nel quartetto impersonava il maschio Alpha capitolino, probabilmente perché come individuo non lo è (su questo paiono concordare sia le suo colleghe che le sue ex). Quando la DPG si è sciolta, il buon Tony ha continuato a portare avanti il suo personaggio, acquisendo sempre più notorietà e discapito dell’origininalità, fino a diventare de facto una versione postmoderna di Mario Merola. Il pubblico della sua generazione sa perfettamente che quello che Tony Effe dice e fa è frutto di un personaggio creato per far soldi, e lo accetta perché non vede in lui un modello esistenziale da replicare, ma uno che è riuscito a fare i soldi non “lavorando”. Questo è l’unica cosa che ammirano i ragazzi e le ragazze di lui: l’aver fatto i soldi recitando sul palco e sui social.
Un mondo di maschere senza persone
Qui veniano al punto non affrontato della questione. La trap mainstream è un mondo di personaggi creati per far soldi, ne sono coscienti loro e il loro pubblico. Il gioco è palese e dichiarato, e al pubblico degli under 30 va bene così, perché non chiedono al mondo del pop di fornirgli modelli politici, affettivi, familiari, ma di fargli vedere un modo per fare soldi scappando dal lavoro precario, sottopagato e insoddisfacente a cui sono condannati.
Gli adulti al contrario sono tremendamente ingenui: credono che esista una perfetta equivalenza fra persona e artista, e quindi cioò che uno canta (o recita, o scrive) è quello che pensa e fa nella sua quotidianità. Ritengono l’artista quindi come una persona senza maschere e filtri, quello che loro vorrebbero ma non possono essere nella loro quotidianità, un’idea che per le nuove generazioni non è solo assurda, ma suicida: l’obbiettivo non è essere una persona, ma diventare ricchi. Quello che uno “realmente” è caso mai lo farà vedere ai suoi amici e alla sua compagna alle Maldive o mentre sfreccia in Ferrari in via Montenapoleone, non su un palco o sul suo profilo IG, dove l’unico obbiettivo è fatturare.
Quindi in definitiva è vero che Tony Effe è divisivo: divide nettamente chi ha una visione dell’arte e dell’artista del ‘900 dalle nuove generazioni che invece lo concepiscono la musica come un modo per far soldi facili e veloci, e l’artista come un mix fra l’attore e l’influencer.