Attualità
Rubrica. DENTRO LA CUCINA DI STEFANO VEGLIANI. Il “sogno americano” realizzato dallo chef Michele Casadei Massari
Di Stefano Vegliani
Nel fantastico museo dell’immigrazione di Staten Island a New York, dove si fermavano in quarantena (non era per il covid) gli immigrati in cerca di avventura nei neonati Stati Uniti, c’è una lettera di un italiano che scrive a casa: “sono venuto aspettandomi strade lastricate d’oro, invece le strade non ci sono e ora le fanno costruire a me”. Queste poche righe rappresentano il sogno americano del 1800. Sono passati oltre due secoli, ma quel sogno continua a essere nella testa di molti. Michele Casadei Massari è uno che l’ha realizzato.
“Ero in Sardegna in vacanza, una pausa dalla permanenza in Indonesia di quel periodo, con mia moglie e mia figlia appena nata, quando mi è capitato sott’occhio un articolo che raccontava come ottenere un visto americano: l’essenziale è realizzare un’impresa unica ed eccezionale. Il destino ha voluto che mentre leggo l’articolo la musica che sento è proprio quella cantata dal mio amico Luca Carboni che recita proprio quelle parole”, ci racconta Michele, “mia moglie si dice d’accordo e con il mio socio Alberto Ghezzi cominciamo a pensare cosa possiamo fare. Nasce così l’idea di buttarci sul caffè: facile da trasportare, non si deteriora, non servono grandi permessi, con un chilo di materia prima si preparano 122 tazzine, dobbiamo solo riuscire a trovare il modo di piazzarci a Union Square durante il mercatino di Natale con un nostro chiosco per servire espresso italiano. Comincia così una lunga corrispondenza con i vari enti che devono rilasciare i permessi, un percorso non facile, ma che alla fine ci porterà ad avere lo spazio gratis proprio perché l’idea è nuova e piace. Cominciamo dunque con un risparmio di 16mila dollari. Ai primi di dicembre 2009 entriamo negli Stati Uniti con come turisti con permesso di 3 mesi, ma con tutto pronto per chiedere il visto che infatti arriva velocemente”.
Nel 2009 non c’era ancora il Farmer Market in Union Square, nessuno aveva mai servito cibo o bevande nella piazza al centro di Manhattan, Eataly avrebbe aperto l’anno dopo, ma ciò che era italiano nella Grande Mela funzionava sempre. L’espresso era buono.
“La nostra era veramente un’impresa eccezionale, io e Alberto insieme siamo fortissimi”, racconta con orgoglio Michele Massari, “qui si fa in fretta ad avere qualche celebrity che arriva, uno dei primi che diventa cliente abituale è l’attore Jimmy Fallon. Quando il mercatino sta per finire uno dei clienti più affezionati ci da le chiavi di un locale sulla Terza avenue tra Quindicesima e Sedicesima e ci dice che vuole che portiamo la nostra esperienza di piazza tra quattro mura. Nasce così Piccolo Cafe. Il primo”.
I Piccolo Caffè diventano quattro, ora causa pandemia, due sono chiusi. Quello che sancisce il successo di Michele Massari è il secondo, davanti alla sede del new York Times sulla Quarantesima strada. Nei Piccolo Cafe si fa colazione, ma anche un lunch veloce con un piatto di tagliatelle o le polpette, tutto rigorosamente cucinato al microonde che è il cavallo di battaglia di Michele.
“Un giorno Robert Graham che dopo essere stato il camiciaio di Ralph Lauren era diventato a sua volta stilista esclusivo porta il suo ex capo a pranzo da noi (aveva l’ufficio nello stesso palazzo). Dopo una settimana arriva una mail dall’ufficio di Ralph Lauren che ci chiede un catering per la Fashion week. Faccio un salto sulla sedia: vogliono è semplice, da trattoria italiana, propongo polpette nei coni, Friggione bolognese, Tagliatelle al Ragù, Lasagne Vegane, piace subito. Comincia così un’avventura che mi ha dato soddisfazioni immense, che mi ha portato ad aprire il ristorante Lucciola nell’Upper West side, ad avere, prima del disastro del Covid più di ottanta persone a stipendio. Ora sono sedici, ma spero che in poco tempo possano diventare trenta”.
La cucina è nella vita di Michele Massari da quando aveva 8 anni; nel momento della separazione dei genitori lo prese sotto la sua ala protettiva il nonno materno che cucinava al Grand Hotel di Rimini. Lo slogan del nonno era: “Se sai cucinare viaggerai e non morirai mai di fame”. Così è stato: Giappone, Singapore, Hong Kong, Bali, anche se per 12 anni è rimasto in Italia come dipendente Vodafone. Ora sono dieci anni di permanenza a New York, ma l’impressione è che sia una residenza consolidata, perché nonostante la crisi le soddisfazioni continuano ad arrivare. Da poco è stato nominato chef Ambassador di Parmigiano Reggiano, lo è già di Urbani Tartufi. Con Bottura, Cracco, Colagreco e nel gruppo di chef che offrono un esperienza sensoriale per l’organizzazione GR8 il cui ricavato va in beneficenza. E poi c’è la Ferrari, che per un emiliano romagnolo è qualcosa di speciale: “quando mi hanno contattato per la prima volta qui a New York non sapevano le mie origini, non è stato quello che li ha convinti a cercarmi, ma il nome che mi sono fatto con grandi aziende come Amazon, Google, New York Times, soprattutto da quando ho cominciato a realizzare la produzione completa, portando piatti, bicchieri, tovaglie italiane, piccole cose per cui qui impazziscono”. La Ferrari lo ha portato a diventare l’uomo del catering al Gran Premio di Formula Uno di Montreal (che ovviamente nel 2020 è saltato) per la Fia: “una sfida da 27mila pasti che abbiamo vinto alla grande”. Così oggi gugolando “the best italian chef” (che compara a caratteri cubitali nella home page del suo sito www.michelecasadeimassari.com ) spunta subito lui “perché i dodici anni in Vodafone mi hanno insegnato molto nell’uso delle nuove tecnologie e nei nuovi sistemi di comunicazione”.
Michele Massari grazie ai social e a una rete di amicizie di vecchia data si è fatto conoscere anche in Italia, forse vi sarà capitato di vederlo collegato in qualche trasmissione a parlare di quello che succede a New York, non solo in cucina. Nel 2019 è stato chiamato per il catering per il concerto di Jovanotti sulla spiaggia di Forte dei Marmi: 43 mila pasti, perché la sua tecnica in cucina gli permette di affrontare grandi numeri in modo relativamente semplice.
“Io non cucino con il fuoco”, racconta con una punta di orgoglio, ”perché si può fare tutto con il microonde; uso il circolatore d’acqua che oggi si chiama sous vide da quando nessuno aveva idea di come funzionasse. Mi aiutano gli studi di medicina poi interrotti. Così la mia cucina è più semplice e più sana, più veloce da preparare e soprattutto mi bastano poche persone con me per quei catering da migliaia di persone. Posso andare ovunque con poca attrezzatura: ho un carrello con quattro forni microonde che mi segue. La pasta dopo averla messa qualche minuto a reidratare nell’acqua calda si mette nel forno cuoce e in un paio di minuti, il brasato lo faccio in 16, il ragù in 37. Devo avere sempre la stessa pentola di alluminio e lo stesso forno. Questo anche a Lucciola il mio ristorante, dove in cucina d’estate non si muore di caldo”. Insomma un visionario che ce l’ha fatta. “ma non sono sazio, dalla crisi nascerà qualcosa di nuovo”.
Stefano Vegliani è stato per 29 anni la voce e il volto degli sport Olimpici per la redazione sportiva di Mediaset e Premium Sport. Ha inseguito Tomba su tutte le piste del mondo per due lustri, ha raccontato la carriera di Federica Pellegrini dalla prima medaglia olimpica nel 2004 allo strepitoso oro mondiale di Budapest. Ha puntato su Gregorio Paltrinieri quando in redazione lo guardavano con aria interrogativa, e non ha mai dimenticato l’iniziale passione per la Vela spiegando la Coppa America da Azzurra a Luna Rossa, e rincorrendo Soldini in giro per il mondo. Vegliani, giovane pensionato da settembre del 2017, ha “partecipato” come inviato a 16 Olimpiadi, l’ultima a Pyeongchang in Corea, impegnato con la squadra di Eurosport. Collabora a Il Foglio Sportivo e al sito www.oasport.it. Maratoneta sotto le quattro ore. Come molti e illustri inviati sportivi ha la passione per il buon cibo. Dopo aver inseguito Tomba assieme a Paolo Marchi collabora con Identità Golose dalla primissima edizione. Inizia oggi la sua collaborazione con il portale online di intrattenimento OaPlus, per il quale curerà ogni settimana una rubrica dedicata all’alta cucina.
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