Attualità
SPAZIO MENTE. L’evoluzione spirituale nella sfida al Coronavirus
La condizione di incertezza e il senso di perdita dovuto ai numerosi decessi che abbiamo sperimentato nelle ultime settimane ci hanno indotto non solo a riflettere sulla precarietà delle nostre esistenze, ma anche ad interrogarci sull’annosa questione della presenza o meno di Dio.
L’esistenza del male e della sofferenza umana nel mondo, specialmente nelle forme più estreme ed incomprensibili per la mente cosciente e razionale, è una delle cause più frequenti dell’abbandono della fede.
Quando siamo costretti a fronteggiare vicende che non riusciamo a spiegare e a comprendere, nei confronti delle quali non possediamo strumenti per prevenirne e limitarne gli effetti catastrofici, sperimentiamo un senso di frustrazione che scaturisce dalla triste consapevolezza della nostra impotenza.
La sensazione di abbandono, che pervade i nostri cuori e assale la nostra ragione, ci induce a considerare che mai un Dio buono e giusto avrebbe permesso tanto e ci porta a riconsiderare le nostre più intime posizioni spirituali e religiose.
Ed ecco che la nostra ragione si trova a dover affrontare l’antinomia tra due elaborazioni della logica, quella dei dogmi della fede e quella delle voce insistente della ragione umana.
Il pensiero frequente, per la maggior parte di noi, è perché mai il Signore lascia che accadano mali simili, che spesso si abbattono sulle fasce più deboli ed inermi della popolazione, lasciandole incredule e smarrite davanti a tali disastri naturali.
La risposta a questi nostri interrogativi, spesso taciuti e non condivisi per paura del giudizio della collettività e per timore di irriverenza verso Dio, Signore e Creatore del mondo, spesso è racchiusa nell’abbandono e nella fiducia incondizionata alla sua volontà, come se ogni suo disegno e progetto di vita seguisse un piano che non sfugge alla sua sapienza e alle sue intenzioni.
Molte volte il dolore che si abbatte sul nostro percorso esistenziale assume un significato di purificazione o di occasione per una profonda riflessione sul senso del nostro vivere.
Gran parte della società, globalmente assorbita dalla dimensione materiale del nostro vivere e travolta dal trambusto e dalla frenesia della quotidianità, non si è mai posta delle domande decisive, sino a quando le circostanze non l’abbiano reso necessario.
Ed è così che una malattia, un grande dolore, un virus come quello dei nostri giorni o un disastro familiare o economico ci inducono a dover riconsiderare questioni spirituali e filosofiche.
In tali circostanze avviene una svolta in ciascuno di noi, per alcuni una riscoperta dei valori più profondi della solidarietà umana, per altri un abbandono della fede, per altri ancora un contatto più profondo con la dimensione divina.
Per tutti è comune un messaggio a sfondo pedagogico, che vuole che nessuno di noi si perda nella superficialità e nella frenesia del vivere quotidiano.
Negli ultimi giorni è stato toccante e significativo assistere alle testimonianze di medici e sanitari, spesso atei perché il loro sapere scientifico esclude la presenza di Dio, i quali dinanzi alla strage silente ed ingiustificata di vite umane causata dal Coronavirus sono stati costretti a porsi degli interrogativi profondi sulla dimensione spirituale.
In tale spiacevole condizione di emergenza hanno sviluppato la consapevolezza di aver raggiunto i loro limiti umani e di doversi abbandonare alla volontà di un’entità superiore.
Il momento decisivo per molti di loro è stato l’essere costretti a decidere tra chi deve vivere e chi, invece, deve essere abbandonato al decorso della malattia a causa della scarsità di cure ed opportunità di guarigione per tutti.
Dal momento che la dimensione spirituale e religiosa segue i percorsi più intimi e segreti di ognuno di noi e si definisce rileggendo simbolicamente ogni tassello del nostro cammino esistenziale e ogni sfida che ci ha visti combattere con dignità e coraggio, non esiste una regola o un principio valido per tutti.
Nessuno, difatti, può arrogarsi il diritto di giudicare la posizione o il pensiero di un altro, credendolo inferiore al suo.
Ad ognuno di noi è lasciata la libertà di scegliere a chi e a cosa voler credere, nel totale rispetto dell’inviolabilità di un diritto umano.
Questa possibilità non può far altro che aumentare i margini di tolleranza e rispetto tra tutti noi che siamo consapevoli che la nostra vita, i nostri cuori e l’intelletto sono in costante evoluzione, in quanto interconnessi strettamente agli accadimenti terreni, che spesso sfuggono al nostro volere e alle nostre capacità di intervento.
Questo aspetto che ci accomuna può solo farci sentire parte di una grande famiglia, dove nessuno è migliore di un altro, ma ciascuno è la parte mancante e determinante per la comprensione e il funzionamento del tutto.
Alessandra Bisanti, Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
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Crediti Foto: LaPresse