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L’altra faccia della Cina: arresti di massa e repressione

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Chi non ricorda il massacro di piazza Tienanmen, immortalato nella celebre fotografia del rivoltoso sconosciuto in piedi di fronte a una fila di carri armati.  Quelle manifestazioni e quegli atti di repressione estremamente violenta avvennero a Pechino nel 1989.

In questi giorni, L’Organizzazione non governativa Human Rights Watch ha dichiarato che il periodo attuale, in fatto di repressione, è per la Cina equiparabile proprio al 1989: “La Cina è nel pieno del suo periodo più buio sul fronte dei diritti umani dal massacro di Tienanmen del 1989”.

La dichiarazione è riportata sul World Report 2021, e si riferisce  a due strategie di repressione messe in atto parallelamente dal Governo Cinese:   “L’intensificazione della repressione a Hong Kong e nello Xinjiang è emblematica del peggioramento della situazione dei diritti umani sotto il presidente Xi Jinping”.

Dal 15 marzo 2019 infatti a Hong Kong i cittadini protestano per alcune legislazioni sull’estradizione tra Hong Kong e Cina Continentale. Come si sa, in Cina il sistema viene definito anche “un Paese, due misure” intendendo che la città di Hong Kong ha un governo e tribunali propri. Ma ora Pechino vuole iniziare a far rientrare anche i territori come Hong Kong sotto le istituzioni del Partito, e numerosi sono stati negli ultimi due anni gli scontri, con feriti e arresti.

Lo Xinjiang è una regione autonome della Cina, al confine di nord-Ovest. Etnicamente e culturalmente molto diversa, da anni la regione subisce esportazioni forzate nell’ottica della cosiddetta cinesizazione. Pechino ha fatto costruire nel territorio 380 campi di internamento dal 2017: arresti di massa, figli sottratti ai genitori, intere famiglie rinchiuse sono all’ordine del giorno.

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Foto: LaPresse