Attualità
Non sappiamo più che Sanremo vogliamo
Non sappiamo più che Sanremo vogliamo. Il Sanremo intimista a guida Conti piace al pubblico, ma lascia senza clickbait stampa e influencer, che reclamano la testa del conduttore fiorentino.
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Finita la kermesse nazionalpopolare per eccellenza, quel che ci rimane sono polemiche smorte e la sensazione che tutto è filato liscio, fin troppo liscio. Il Sanremo di Carlo Conti è stato molto diverso da quello a guida Amadeus, ottenendo risultati identici a livello di ascolti e guadagni pubblicitari. Questo pareggio in termini di gradimento e rendimento economico per l’azienda RAI, dimostra come Sanremo ormai sia un evento che funziona a prescindere da chi è il direttore artistico. Ma i delusi e perfino i furiosi non mancano, vediamo il perché.
Carlo Conti: l’uomo dell’azienda
Sia i detrattori che gli ammiratori di Carlo Conti sono concordi su un punto: il presentatore fiorentino è un uomo d’azienda, un pragmatico che guarda al risultato portato a casa e basta. Niente voli pindarici, intoppi e polemiche, lo spettacolo deve filare liscio e poi calato il sipario si corre a guardare i dati Auditel. Dell’idea di Amadeus di trasformare Sanremo in un show a tutto tondo, di cui la musica non è la portata principale, ma un elemento fra gli altri, è rimasto poco nulla. Eliminati i monologhi incendiari, ridotti all’osso i messaggi sociali, dismessi gli artisti amanti della polemica, quel che rimane è un festival della musica nazionalpopolare nudo e crudo con qualche siparietto comico. Il pubblico ha gradito, gli inserzionisti e la Rai pure, i veri sconfitti di questa edizione sono i giornali, gli influencer e gli attivisti.
Abbiamo diritto alla nostra polemica quotidiana
Per giornali ed influencer questo Sanremo è stato un incubo. Niente polemiche a sfondo sociale e politico, niente incidenti e sfuriate improvvise in diretta nazionale, insomma niente su cui scrivere articoli clickbait. Conti a scientemente evitato di fornire a chi campa economicamente di polemiche polarizzanti qualunque appiglio, e non è un caso che a chiedere la sua testa sia metà della stampa e pressoché ogni influencer specializzato nella polemica del giorno. Non che giornali ed influencer non abbiamo provato a generare scandali da inezie: dalle collane di Tony Effe alla rivalità causa presunte corna fra Fedez e Achille Lauro, gli specialisti in ragebait hanno provato a costruire scandali ad uso social, che però non hanno fatto presa sul pubblico. Questa è la novità più interessante: il pubblico guarda Sanremo anche senza bisogno di polemiche e messaggi polarizzanti.
Niente appigli all’attivismo
Gli altri grandi delusi di Sanremo sono gli attivisti delle varie cause sociali, che ogni anno aspettano la kermesse per agganciarsi alla polemica del giorno e fare pubblicità aggratis alla propria causa e/o alla propria associazione. Quest’anno è andata male: nonostante Cristicchi fornisse buoni appigli per la questione caregiver, e Lucio Corsi abbia riscosso successo con il suo testo sulla mascolinità tossica, per non nominare Fedez e la questione salute mentale, le polemiche lanciate dagli account d’associazioni e influencer specializzati hanno avuto scarsi risultati sui social e sulla stampa. Questo non significa che gli italiani siano all’improvviso disinteressati alla tematiche sociali e ai temi d’attualità, ma che non sono interessati a sentirli disquisire nelle canzoni sanremesi o in contenuti collegati a Sanremo.
L’intimismo funziona sempre
Piaccia o meno la scelta di Conti nel puntare tutto sull’intimismo e il sentimentalismo ha funzionato. L’amore, la famiglia e la narrazione delle proprie difficoltà psicologiche hanno acchiappato il pubblico, in maniera trasversale ed ecumenica. L’epoca Amadeus, strettamente collegata alle culture wars statunitensi, ci ha fatto dimenticare una verità tanto banale quanto eterna: la narrazione intimistica nell’arte funziona sempre. Una buona canzone d’amore non genera polemiche su quotidiani e social, ma piace trasversalmente e quindi attira il suo pubblico, ergo gli inserzionisti. Lamentarsi di questo significa non aver capito che le dinamiche dell’engagement social e quelle dell’apprezzamento e del successo del prodotto artistico sono correlate, ma non identiche. Conti ce l’ha ricordato, e di questo gli va dato merito.
Il futuro
Sicuramente questo è stato un Sanremo di passaggio, per non dire un Sanremo di restaurazione. Carlo Conti è piaciuto al pubblico e alla RAI, ma ha deluso influencer e stampa che reclamano per l’anno prossimo un netto cambio di conduzione, per non dire di conduttore tout court. Conti ne è perfettamente cosciente, tanto da suggerire che nel 2026 potrebbe accontentarsi della direzione artistica e lasciare la conduzione a qualcun altro, un’idea che potrebbe accontentare tanto i suoi supporter quanto i detrattori. Comunque vada la direzione artistica rimarrà a lui, e quindi l’anno prossimo vedremo un Sanremo simile a questo, magari con piccoli aggiustamenti tecnici. Se Amadeus ha segnato un’era, Conti vola basso e preferisce incassare e far incassare assegni.