Seguici su

Attualità

L’educazione affettiva ai tempi di TikTok

L’educazione affettiva ai tempi di TikTok. Ignorata dalla scuola, i social la monopolizzano usandola come clava per l’engagment. Dai fuffaguru ai videogamer professionisti, passando per personal trainer e contents creator di Onlyfans, l’educazione affettiva sui social diventa un ottimo argomento per creare contenuti sessisti, divisivi, demenziali, capaci di generare flame e diventare virali.

Pubblicato

il

L'educazione affettiva ai tempi di TikTok. Ignorata dalla scuola, i social la monopolizzano usandola come clava per l'engagment. Dai fuffaguru ai videogamer professionisti, passando per personal trainer e contents creator di Onlyfans, l'educazione affettiva sui social diventa un ottimo argomento per creare contenuti sessisti, divisivi, demenziali, capaci di generare flame e diventare virali
Crediti foto paolacortellesireal Instagram

Ormai la richiesta di fare educazione affettiva nelle scuole è diventato un cliché ogni qualvolta la cronaca parli di violenza sulle donne. Persone comuni, artisti, attivisti da tastiera la invocano come l’antidoto al dilagare dei femminicidi e alla violenza di genere. Il recente appello di Paola Cortellesi, diventata una sorta di simbolo di questa richiesta sociale, lanciato durante la premiazione per il Biglietto d’oro, ha riaperto il dibattito sulla mancanza di questa “materia” nelle scuole tricolori. La questione però non tiene conto di un dato di fatto significativo: non è vero che nella nostra società non si faccia educazione affettiva, il problema è che quest’ultima non viene fatta a scuola ma sui social, da una pluralità di figure senza competenze né (in moltissimi casi) la sensibilità per farla. Vediamo cosa accade

La richiesta sociale

Non si può di certo dire che non ci sia richiesta di educazione affettiva. A partire dagli adulti che la vogliono come materia obbligatoria nelle scuole, passando per gli studenti (in particolare delle superiori) che sono estremamente interessati all’argomento, esiste un diffuso e intergenerazionale interesse verso l’argomento. Il problema è quindi intendersi in cosa debba esattamente consistere l’educazione affettiva e che fine debba avere: per gli adulti dovrebbe consistere fondamentalmente nell’educazione al consenso e al rispetto della donna, al fine di diminuire (se non eliminare) gli episodi di violenza di genere. Per i ragazzi invece dovrebbe fornire gli elementi per trovare un/a partner, insegnare quindi come si approccia una persona che ci piace, come chiederle di uscire, come fronteggiare le richieste di coppia di quest’ultima (come gestire la gelosia, il bisogno d’attenzioni, ecc). Adulti e giovani intendono l’educazione affettiva in maniera diversa e soprattutto hanno idee diverse sul suo scopo.

Perchè la scuola non se ne occupa?

Formalmente la scuola italiana ha nel suo ventaglio di proposte formative l’educazione affettiva. Allora perché non la fa? Per una serie di problematiche difficilmente risolvibili: in primis per questioni economiche, dato che sono i fondi dei singoli istituti a dover pagare i professionisti che lavorano con le classi, visto che lo stato non ha destinato fondi specifici per la materia. In secondo luogo perché non esistono professionisti dell’educazione affettiva, ma una costellazione di figure che ne trattano ognuna da un punto di vista diverso, a seconda del proprio campo di formazione; si va dallo psicologo che la vede come un’educazione al benessere psicologico, passando per l’insegnante di lettere che la vede come una naturale estensione della comprensione del nostro grande patrimonio letterario/artistico, passando per il sessuologo che la vede come un naturale corollario di un corretto rapporto con il nostro corpo e quindi la nostra spinta sessuale. Tutte queste prospettive sono a loro modo giuste, il problema quindi è: chi ha le competenze per farne una sintesi? Se nessuno può mettere insieme questi punti di vista, bisogna pagare 3 figure diverse che ruotino nella classi facendo ognuna un pezzo di programma? Se a questo si aggiunge la contrarietà di alcune famiglie alla materia, contrarietà dovuta alla paura che cozzi con la fede religiosa, i valori etici o la sensibilità dei propri figli, è evidente che la scuola italiana difficilmente troverà una quadra per far partire l’educazione affettiva.

Educazione affettiva e i social

Ovviamente influencer e content creators non potevano non notare l’ampia domanda riguardante l’educazione affettiva e la mancanza di istituzioni che la soddisfino. Ecco quindi che contenuti a tema educazione sentimentale/affettiva/sessuale fioccano da ogni parte sui social, sia come argomenti distintivi del proprio personaggio (ad esempio Edoardo Prati), sia come riempitivi acchiappa engagement fra altro tipo di contenuti. Ormai ogni influencer/contents creator con un minimo di seguito ci spiega come comportarci con la nostra/il nostro gym crush, come chiedere ad una donna di uscire, cosa significa quel messaggio in cui lui/lei chiede attenzioni, eccetera eccetera. Un proliferare di contenuti di scarsissima qualità, zeppi di stereotipi di genere, spesso impostati per essere urtanti e divisivi in modo da creare engagement da convogliare nel post successivo sponsorizzato da un brand.

Il dramma dell’incompetenza

Instagram e TikTok sono talmente invasi da questo tipo di contenuti da far esclamare gli adulti “che competenze ha questo/a per parlare di educazione affettiva ai giovani?”. Semplice: nessuna. Fra le figure più solerti nella produzione di video in questo campo troviamo personal trainer, fuffa guru, influencer di moda, content creators di Onlyfans, trapper, videogiocatori professionisti fino ad arrivare persino a contents creator specializzati nel cringe. Il problema quindi non è che nessuno in Italia parli di educazione affettiva, ma che questa venga fatta sui social in reel da 45 secondi da figure che nel migliore dei casi propongono contenuti inutili, nel peggiore dei casi (pensiamo ad esempio Michelle Comi) propongono i più triviali stereotipi di genere (le belle donne vanno mantenute, le donne brutte hanno meno diritti, le belle donne desiderano solo l’uomo con soldi) per generare flame e quindi engagement da utilizzare per promuovere brand e o i propri contenuti a pagamento su Onlyfans.

Il futuro

Sicuramente, sui social, i contenuti a tema educazione affettiva hanno davanti un roseo futuro. La domanda degli utenti è troppo vasta ed intergenerazionale per scomparire da un giorno all’altro, e nessuna istituzione pubblica o privata sembra interessata a rispondere a questo bisogno. Il problema da porsi quindi è che genere di educazione verrà data ai giovani sull’argomento sui social, e la risposta attualmente è: pessima, se non pericolosa. Sperare in una qualche regolamentazione calata dall’alto, come ad esempio è avvenuto recentemente con la creazione dell’albo degli influencer e l’obbligo per questi di segnalare i filtri utilizzati nei propri post, è una speranza vana, sia perché non esistono lauree in educazione affettiva, sia perché è distopico pensare che lo stato possa legiferare e mettere paletti su cosa pensiamo della nostra/o gym crush, o su che DM utilizzare per attaccare bottone su Instagram. Detta in parole semplicei: l’educazione affettiva sui social è destinata a rimanere il far west, dove chi la spara più grossa (e più sessista) diventa il boss della città.

Clicca per commentare

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *