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La Ferragni Joker dimostra la stanchezza del nostro giornalismo

La copertina de l’Espresso Joker dimostra come il nostro giornalismo ormai viva delle stesse dinamiche dei social, dinamiche che servono a generare engagment per invogliare i brand ad acquistare spazi pubblicitari, ma che ormai generano stanchezza cronica in gran parte del pubblico.

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La copertina de l'Espresso Joker dimostra come il nostro giornalismo ormai viva delle stesse dinamiche dei social
Crediti Foto espressosettimanale instagram

Venerdì 8 Marzo il settimanale L’Espresso ha pubblicato una copertina che ritrae Chiara Ferragni truccata da Joker. Una copertina che ha fatto discutere sia perché uscita in concomitanza con la feste delle donne, sia perché gioca sulla polarizzazione sempre più accentuata creatasi intorno all’influencer cremonese. La copertina rimandava all’inchiesta condotta dal settimanale sugli affari delle due società di proprietà della Ferragni, inchiesta che non rivela nulla di nuovo ma si limita a riassumere quanto già emerso in inchieste giornalistiche precedenti condotte da altri. La copertina è interessante perché per la prima volta dallo scoppio dell’affaire Balocco la Ferragni è stata associata a sentiment positivi, nello specifico il pubblico ha avuto compassione per come è stata inutilmente ridicolizzata dal settimanale. Ciò che ci interessa in questo caso però non è la Ferragni in sé, ma come la copertina con la Ferragni Joker dimostri la stanchezza del nostro giornalismo.

Satira, sessismo e vittimismo

La maggior parte dei commentatori sui social hanno accusato la copertina dell’Espresso di sessismo: il ritrarre l’8 marzo una donna celebre come una pagliaccia infatti è stato percepito non come un attacco alla persona Chiara Ferragni, ma come un attacco alle donne, ricordando ad ognuna di loro che possono sì diventare ricche e famose, ma non appena sbaglieranno verranno pubblicamente ridicolizzate e massacrate. Il team di comunicazione di Chiara Ferragni ha subito preso la palla al balzo: oltre le ovvie ed inutili minacce di azioni legali (la copertina può essere di cattivo gusto, ma appartiene al genere della satira che è tutelata dalle leggi sulla libertà di espressione) ha rimarcato come l’influencer sia da tempo vittima di una campagna d’odio da parte di haters e giornalisti in cerca di like, campagna basata sul sistematico fraintedimento delle sue buone intenzioni e della sua ingenuità. Molti hanno notato come la copertina dell’Espresso e la risposta della Ferragni siano la perfetta continuazione dell’intervista rilasciata dall’influencer a Fabio Fazio, intervista in cui la Ferragni ha assunto il ruolo della vittima d’odio, ruolo che ora pare confermato dall’attacco dell’Espresso.

Il giornalismo in crisi economica è diventato schiavo delle dinamiche dei social

La domanda a questo punto è: perché un settimanale politico come l’Espresso ha pubblicato una copertina del genere? Per una banalissima questione di marketing: nominare la Ferragni produce traffico sui social. Per un settimanale in crisi cronica di vendite come l’Espresso generare traffico social, poco importa se in positivo o in negativo, significa maggiori introiti pubblicitari e qualche copia venduta in più in edicola. Non solo: attaccare la Ferragni significa ottenere l’approvazione dei suoi haters e la rabbia dei suoi fans hardcore, due categorie molto attive quando si tratta di commenti e condivisioni, cioè quando si tratta di generare engagment. L’engagement è la vera questione chiave: è ciò che gli uffici marketing vendono alle aziende che vogliono farsi pubblicità, e per generarlo è necessario trattare personaggi e temi polarizzanti, capaci di creare due schiaramenti nettamente contrapposti che si scontrino ad oltranza sotto i post. La Ferragni sarà ormai diventata kriptonite per i brand, ma per quanto riguarda l’engagement che sa generare è ancora la star indiscussa di Facebook e Instagram italiani.

Polarizzazione, engagment e stanchezza

Il problema a questo punto però appare evidente: quanto a lungo si può giocare sulla polarizzazione di ogni cosa pur di generare engagement? Non esistono dati certi e quindi teorie fondate a riguardo, ciò che sappiamo per ora è che la polarizzazione perenne ha generato stanchezza in fasce sempre più ampie del pubblico. Una stanchezza che inizia con il saltare i post con titoli e immagini che riguardano determinati personaggi politici e dello spettacolo che vivono di provocazioni, per poi proseguire con l’eliminare dai propri feed gli influencer e le testate che battono sulla polarizzazione del proprio pubblico, per finire con veri e propri allontanamenti dai social perché si ha la percezione che ormai l’intero ambiente del web sia intossicato da queste dinamiche (percezione corretta, fra l’altro). Questa stanchezza generalizzata viene combattuta dai mass media con una dose sempre più forte, pervasiva e percussiva di polarizzazione, sperando che all’aumentare dell’intensità dell’odio e dell’amore smossi attorno ai propri contenuti il pubblico torni a rispondere. Per quanto può andare avanti questo sistema? Purtroppo non si possono fare previsioni, anche se è confortante notare come testate che l’hanno utilizzato in maniera massiccia (alcuni esempi a caso: il Tg1 dell’ultimo anno o il quotidiano La Repubblica) hanno visto calare drasticamente il proprio pubblico.

La Ferragni può utilizzare a proprio favore la stanchezza per la polarizzazione condotta intorno alla sua immagine?

Nonostante l’ottimo share prodotto dall’intervista condotta da Fazio alla Ferragni, la società DeRev, specializzata in marketing,  ha notato come le reazioni predominanti del pubblico all’apparizione della Ferragni siano state di stanchezza, noia e fastidio. In poche parole l’abbiamo guardata in massa come se fossimo costretti a farlo, come se fosse un rito sociale che non ci piace ma a cui dobbiamo comunque partecipare. Un dato estremamente interessante, che a quanto pare non dipende da ciò che fa, dice o è Chiara Ferragni in sé, ma dipende dalla sovraesposizione dell’influencer, sovraesposizione con cui lei ad oggi ha un rapporto ambivalente: la danneggia perché il pubblico si è in larga parte stancato di vederla ovunque, ma le è necessaria perché le sue aziende per sopravvivere economicamente dipendono dalla sua perenne visibilità. Una contraddizione da cui la Ferragni non riesce ad uscire, sempre che per lei esista una via di fuga praticabile: la soluzione più semplice sarebbe sparire dai social per qualche mese, ma questo per lei significherebbe accettare pesanti perdite economiche.

In sintesi la Ferragni Joker dimostra la stanchezza non solo del nostro giornalismo, ma di un intero sistema massmediale che ha bisogno di polarizzare ogni cosa pur di tirare a campare un altro giorno. Un sistema che però non può autocorreggersi perché non ha altri mezzi per generare engagement, che è la merce che vende ai brand per convincerli a comprare spazi pubblicitari. Fra gli ingranaggi di questo sistema fuori controllo ci siamo sia noi sia la Ferragni, sempre più stanchi e disillusi eppure convinti che nonostante tutto lo show debba andare avanti, anche se nessuno di noi saprebbe spiegare esattamente il perché.

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