Attualità
“Hikikomori, i giovani che non escono di casa”: alla Camera un incontro per sensibilizzare le istituzioni e chiedere misure concrete

Rajae Bezzaz è tornata su una tematica piuttosto attuale: “Hikikomori, i giovani che non escono di casa.” L’inviata di Striscia la Notizia ha affrontato questo fenomeno sociale che ha investito anche i giovani italiani, quello degli Hikikomori. Termine giapponese usato per indicare un individuo, un giovane che si isola volontariamente dalla società e rappresenta un rischio molto altro che i ragazzi diventino veri e propri Hikikomori per iperconnesione e uso costante dei dispositivi digitali.
A seguito del servizio andato in onda su canale 5, Bezzaz è stata invitata ad intervenire alla conferenza stampa dal titolo “Hikikomori, i giovani che non escono di casa” tenutasi giovedi 27 febbraio nella Sala Stampa di Montecitorio.
La scelta di un luogo così importante non è casuale, ma un chiaro messaggio: è giunto il momento di portare alla luce, in un contesto istituzionale di grande rilevanza, una problematica che colpisce sempre più giovani e che necessita di attenzione e interventi concreti.
L’evento, organizzato dal deputato Antonio Caso in collaborazione con l’associazione Hikikomori Italia, ha visto la partecipazione di relatori d’eccezione. Tra gli interventi , oltre a Rajae Bezzaz, anche Elena Carolei, Presidente dell’associazione, e Marco Crepaldi, psicologo e fondatore dell’associazione, che hanno offerto una panoramica sulle principali criticità legate al fenomeno degli Hikikomori, esplorando le cause, le difficoltà e le possibili soluzioni.
A completare gli interventi, il Consigliere Regionale Gennaro Saiello, mentre le conclusioni sono state affidate al deputato Antonio Caso, promotore dell’iniziativa. L’obiettivo non è solo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno degli Hikikomori, ma anche stimolare un dibattito serio e costruttivo su come le istituzioni possano attivarsi per supportare i giovani in difficoltà e favorire un’integrazione sociale più sana.
Durante la conferenza alla Camera, il deputato Antonio Caso, ha denunciato l’inerzia delle istituzioni. Lo scorso anno la Camera ha approvato mozioni per affrontare il fenomeno, ma di misure concrete ancora non se ne vedono. “Servono politiche di prevenzione e sostegno – ha dichiarato Caso – perché se non interveniamo ora, rischiamo di trovarci tra qualche anno nella stessa situazione del Giappone, con persone isolate da decenni”.
Una delle proposte sul tavolo è la creazione di un protocollo tra scuole, istituzioni e associazioni, per individuare tempestivamente i primi segnali di isolamento e intervenire prima che la situazione diventi irreversibile. In Giappone, il problema è ormai esteso anche agli adulti: si parla della sindrome 50-80, con Hikikomori cinquantenni ancora dipendenti da genitori anziani. Un destino che l’Italia deve evitare.
Il contributo dei media è fondamentale per accendere i riflettori su questo problema. La giornalista Rajae Bezzaz, inviata di Striscia la Notizia, ha evidenziato come la pressione sociale spinga molte persone a chiudersi in se stesse, incapaci di sostenere un mondo sempre più esigente e competitivo. Se in Giappone l’isolamento viene visto talvolta come un percorso di autoanalisi, in Italia il rischio è quello di un oblio senza ritorno.
Aprire quella porta non è facile, ma non è impossibile. Servono percorsi di ascolto, sostegno mirato e una società più accogliente. Perché ogni Hikikomori non è solo un numero nelle statistiche, ma una storia che attende ancora un finale diverso, una nuova possibilità di luce oltre il buio dell’isolamento.
“Si tratta di giovani e non giovani perché in realtà ci sono anche persone adulte che decidono di diventarlo, di chiudersi nel proprio mondo e di non competere più. La nostra società, infatti, chiede molto, è una continua pressione, ci chiede di produrre, di essere perfetti, di essere sempre eccellenti. Non tutti ce la fanno e può accadere che dopo vari cedimenti una persona decida di non giocare più a questo gioco.
In Giappone questa condizione non è vista come una cosa brutta, perché ci si chiude alla ricerca di sé stessi con la volontà di comprendersi. Il rischio è però quello di non uscire mai più da questa chiusura. È dunque necessaria un’attenzione da parte di tutti. Noi media abbiamo il compito di informare: se i numeri sono allarmanti dobbiamo informare, non per allarmare ma perchè vi sia consapevolezza.” – queste le parole di Bezzaz.