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Gli Idol asiatici ci mettono in crisi

Gli Idol asiatici ci mettono in crisi. Importiamo sempre più prodotti culturali estremo orientali, ma abbiamo difficoltà a capirli. Dal successo di Squid Game passando per manga/anime fino ad arrivare agli Idol del K-Pop, consumiamo cultura estremo orientale a ritmi vertiginosi, ma quanto questa fruizioni ci sbatte in faccia le radicali differenze che esistono fra la nostra cultura e quella estremo orientale, ecco che giudichiamo in termini negativi la cultura altrui sapendone poco o nulla.

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Gli Idol asiatici ci mettono in crisi. Importiamo sempre più prodotti culturali estremo orientali, ma abbiamo difficoltà a capirli. Dal successo di Squid Game passando per manga/anime fino ad arrivare agli Idol del K-Pop, consumiamo cultura estremo orientale a ritmi vertiginosi, ma quanto questa fruizioni ci sbatte in faccia le radicali differenze che esistono fra la nostra cultura e quella estremo orientale, ecco che giudichiamo in termini negativi la cultura altrui sapendone poco o nulla.
Crediti foto squidgamenetflix Instagram

Dal K Pop alla serie Squid Game, passando per i più “vecchi” anime e manga,  l’Occidente importa in quantità sempre maggiore prodotti culturali dall’Estremo Oriente. Una fascinazione in costante crescita che mette a contatto senza alcun filtro accademico la cultura occidentale e quella orientale, dimostrando come la globalizzazione non proceda a senso unico. Tuttavia questa assenza di filtri e spiegazioni crea problemi di incomprensione e pregiudizio non indifferenti, come dimostra la riproposizione dell’ascesa e caduta di Saya Hiyama da parte della giornalista di Fanpage Olimpia Peroni. Vediamo che succede.

Storie che non sono la nostra

Partiamo dai fatti. La giornalista Olimpia Peroni di Fanpage pubblica sul suo profilo personale un riassunto della rapida ascesa e dell’ancor più rapida caduta, della presentatrice meteo giapponese Saya Hiyama. La Hiyama presentava il meteo per Weather news live, un canale web di notizie sul meteo, e si fa rapidamente apprezzare per il suo stile timido ed impacciato, nonché per la sua passione per videogame e cosplay. Questo in brevissimo tempo la trasforma da semplice presentatrice a vera e propria Idol, con tanto di prodotti lanciati ad hoc sulla sua immagine. La caduta avviene quando viene paparazzata a Wimbledon mentre guarda un match in cui gioca il tennista giapponese Yoshihito Nishioka. Poco dopo la pubblicazione delle foto, la Hiyama ammette che Nishioka è il suo partner, e questo genera un’ondata di commenti d’odio e accuse di tradimento da parte dei fan della conduttrice, tale da spingerla a scuse pubbliche per evitare la perdita del posto di lavoro.

Differenze di non poco conto

Riassunta la storia, la Peroni nel suo video allarga la questione sostenendo che nella cultura estremo orientale molte e molti Idol hanno dovuto scusarsi dopo che sono stati paparazzati con partner. Il video si conclude chiedendo agli utenti cosa ne pensano della questione. Ecco, qui cominciano i veri problemi. Il pubblico della Peroni è composto in buona parte di giovani e giovanissimi con buon grado d’istruzione, che si presuppone quindi abbiamo una certa dimestichezza con il concetto di relativismo culturale. Invece la sezione commenti sotto il video diventa presto la fiera del pregiudizio culturale “smart”: accuse alla cultura estremo orientale di essere sessista, sessuofobica, misogina e chi più ne ha più ne metta, tanto che l’influencer giapponese naturalizzato italiano Kenta Suzuki si sente in dovere di intervenire per contestualizzare la notizia, creando ancora più caos.

Giapponesi che spiegano cose che non ci piacciono

L’intervento di Kenta Suzuki vale la pena di essere meditato. Con grande gentilezza e pazienza, l’influencer nipponico tenta di spiegare che nel mondo estremo orientale fra l’Idol e i suoi fan esiste un vero e proprio patto sociale, che in sostanza stabilisce che l’Idol (sia femmina che maschio) deve rimanere single perché rappresenta la fidanzata/o ideale del proprio pubblico. Un patto che è conosciuto e riconosciuto sia dall’Idol, che dalle agenzie che lavorano con lui/lei sia dal pubblico, e che deve essere tassativamente rispettato perché l’infrangerlo significa essere traditori, bugiardi, senza pudore e simili, tutte difetti che nella cultura estremo orientale non sono in sé reati, ma sono onte indelibile sulla reputazione dell’individuo (specie se famoso). Suzuki aggiunge che nel caso l’Idol voglia avere un partner, basta che lo comunichi pubblicamente, rescidendo così il contratto che ha con il proprio pubblico ed instaurandone uno nuovo, che ovviamente comporta una serie di sacrifici (flessione della popolità e quindi perdite economiche). Il suo intervento per quanto chiaro ed esaustivo, è stato per lo più ignorato dagli utenti italiani, che hanno continuato a bollare la cultura estremo orientale come misogina e sessuofobica.

Il problema di un mondo senza filtri

L’episodio del video della Peroni e dell’intervento di Suzuki illumina un problema molto più vasto, ossia che nella cornice della globalizzazione ognuno di noi sui social è esposto a contenuti che provengono da tutto il mondo senza alcun filtro. Poco importa che questi contenuti siano di genere artistico, politico, sociale, ciò che conta è che nessuno ce li spiega, li contestualizza, ci fornisce la chiave per comprendere il significato all’interno dello spazio mentale e culturale nei quali sono pensati e per i quali sono prodotti. Questo fenomeno crea due reazioni opposte e perfettamente complementari in noi: un entusiasmo acritico nei confronti del diverso senza capire esattamente in cosa consista questa diversità, e dall’altra parte il rigetto di questi contenuti bollati come medievali, sessisti, malati et similia senza comprendere quale sia realmente il loro significato nel contesto in cui sono pensati.

Il futuro

Per il futuro non si intravede alcuna soluzione al nostro problema. L’idea proposta da alcuni di allegare spiegazioni, contestualizzazioni, approfondimenti ai prodotti culturali non occidentali è infattibile, sia perché internet vive di velocità e quindi di fruizione senza filtri, sia perché fornire strumenti interpretativi per approcciarsi a culture altre è compito della scuola e ancor più dell’università, non certo dei social e/o delle piattaforme di streaming. Facciamo un esempio pratico: quanti di noi avrebbero mai guardato Squid Game, se Netflix ci avesse imposto un documentario di due ore sulla cultura e la politica Sud Coreana del ‘900 prima di poter accedere alle serie? La risposta è ovvia: quasi nessuno. Noi consumatori globali non siamo interessati a comprendere realmente le altre culture con il loro ricco (e pesante) patrimonio di concetti religiosi, filosofici, artistici a noi alieni, ma a consumare i loro contenuti per poi passare velocemente ad altro. La cosa non è un male in sé, il problema è che nel nostro consumare e gettare senza sosta la cultura altrui, non riusciamo proprio ad esimerci dal giudicarla: è quindi sulla sospensione del giudizio che bisognerebbe puntare, ma anche qui il lavoro lo dovrebbero fare le scuola e le università, non certo i social e le multinazionali dello streaming.

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