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L’altra faccia della pandemia: è allarme per i tanti tentativi di suicidio fra giovani e giovanissimi

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Sport e scuola: due pilastri fondamentali per la formazione di un individuo, soprattutto in età giovane. Ma anche due attività passate rapidamente e fin troppo superficialmente nel grande calderone delle cose non essenziali in tempi bui di pandemia. E invece, proprio nell’assenza di queste due “valvole di sfogo” sono da ricercare le cause dell’impennata di tentativi di suicidio e di gesti di autolesionismo fra giovani e giovanissimi che si sta verificando in questi ultimi tempi.

Al punto che l’ospedale Bambin Gesù di Roma lancia un vero e proprio allarme. A dargli cassa di  risonanza, è il Prof. Stefano Vicari, ordinario di Neuropsichiatria Infantile proprio presso il nosocomio capitolino, che in un’intervista concessa a Repubblica parla di una situazione fattasi drammatica. Un vero e proprio bollettino di guerra quotidiano, fatto di ragazzini e ragazzine che si presentano al Pronto Soccorso con tagli e sfregi su braccia e gambe. Ma non solo: il racconto di Vicari è popolato anche di una dodicenne che tenta di togliersi la vita buttandosi dal balcone, mentre c’è chi prova la via della morte per impiccagione o assumendo mix potenzialmente letali di farmaci.

«Durante il Covid abbiamo registrato un aumento del 30 per cento dei casi, dicono che gli manca la scuola e lo sport» racconta ancora Vicari. Parole, quelle del neuropsichiatra infantile, che si spera possano spingere a una riflessione articolata e approfondita su un tema tanto importante quanto sottovalutato: l’impatto sociale della pandemia. Obnubilati dai dati su contagi e morti, dai DPCM che cambiano colori alle regioni nemmeno fosse una partita fra amici a “Uno”, tutto il resto sembra passare in secondo piano. Con le gravi conseguenze che ora i sanitari del Bambin Gesù mettono brutalmente davanti agli occhi di tutti: quasi quotidianamente si registra un ricovero in ospedale di un minorenne (o comunque di persone molto giovani) per atti di autolesionismo più o meno gravi.

A preoccupare gli esperti non è solo l’immediato, ma anche le conseguenze alla lunga distanza: l’isolamento forzato, l’alienazione dovuta alla presenza massiccia della tecnologia, la fobia sociale saranno tutte cose con cui doversi confrontare anche quando l’emergenza sanitaria sarà chiusa. Dice ancora Vicari: «Cè un altra fetta nel mondo di giovani che si chiudono sempre di più dentro casa, dentro la stanza, che trascorrono ore ai videogiochi senza nessun interesse sociale. Che vivono l’inutilità della relazione e confinano sempre più questo mondo ai tablet o agli strumenti tecnologici. Finita l’emergenza sarà molto difficile farli uscire di casa. È li che trovano rassicurazione. È lì che gli si rinforza il sintomo di una fobia sociale che spesso si accompagna a forme più o meno acute di depressione».