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Capire gli indici del contagio: R0, Rt e fattore K, cosa sono?

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Sta facendo molto discutere la spiegazione dell’indice Rt che Giulio Gallera, assessore alla sanità e al welfare della Lombardia ha esposto proprio ieri sera. È evidente che quando si tratta di misurare il contagio abbiamo tutti le idee un po’ confuse. Proviamo a fare chiarezza tra alcuni dei fattori di riferimento. Ad esempio, fino a poco tempo fa si parlava di R0 (R con zero), ma questo valore è stato ora sostituito da Rt (R con T). Ricapitoliamo:

L’indice R0 (R con zero) rappresenta il numero di riproduzione del virus e viene utilizzato per capire quante persone possono essere contagiate da una sola persona ammalata all’inizio di un’epidemia, quando non è stato ancora implementato nessun intervento per frenarla. Potremmo immaginare l’R0 come il peso specifico della malattia che indica il suo potenziale di trasmissibilità. Questo dato si calcola a posteriori, osservando l’avanzamento del virus. In media, più alto è il fattore R0 e più persone potranno essere contagiate da un solo ammalato.

L’indice Rt (R con T) si utilizza sempre per capire quante persone possono contrarre il virus da una sola persona ammalata ma dopo le misure di contenimento dell’epidemia. Questo dato è dunque legato ad una specifica situazione. Se l’indice è basso, le misure adottate per fermare o frenare il virus saranno state efficaci. Ora che la fase iniziale dell’epidemia è alle spalle, non si parla più di R0 ma di Rt. L’Rt ha infatti sostituito l’R0 dopo il lockdown.

Il fattore K descrive il movimento della malattia in gruppi o grappoli, in inglese “cluster”. È stato riscontrato, infatti, che non tutte le persone ammalate contagiano gli altri. Gli scienziati lo indicano come il fattore di dispersione del virus. Cioè, alcune persone che hanno contratto il virus non infettano. Questo – insieme all’indice Rt – è un dato importante per tracciare il contagio. Se il fattore K è basso allora il contagio arriva da un piccolo gruppo di persone. Per il Covid-19 il fattore K sarebbe di 0,1. Questo vuol dire che il 10% degli ammalati potrebbe essere il responsabile dell’80% della diffusione. Con l’individuazione e il controllo dei casi più pericolosi si potrebbero prevenire nuovi potenziali focolai. Anche se non è un’operazione facile.

Il calcolo del contagio non è facile o immediato. Gli indici R0 e Rt assumono che tutta la popolazione abbia le stesse probabilità di contrarre il virus. Ma non è così. Basti pensare che un medico o un operatore sanitario sono molto più esposti di una persona che resta in casa e limita i contatti. Tenendo conto poi del fattore K non tutte le persone infette sono contagiose allo stesso modo. Secondo la rivista scientifica Science, se R0 è 1 può capitare che un infetto contagi più di una sola persona e che qualcuno – invece – non contagi affatto. Alcune circostanze possono anche rivelarsi più diffusori del virus di altre. Ad esempio carceri, cerimonie religiose, ristoranti o ospedali.

Per definire i numeri del contagio ci si basa su stime che dipendono dall’accuratezza dei dati raccolti. Inoltre, come ha spiegato l’epidemiologa Stefania Salmaso in linea generale l’Rt aumenta se aumentano i contatti della persona ammalato per giorno. Ma bisogna considerare per quanto tempo un soggetto rimane contagioso e la probabilità della trasmissione del virus ad ogni contatto. Per fare il calcolo è molto importante poi tenere conto della data in cui i sintomi della malattia si presentano. Ma non sempre è dato saperlo. Per questo in alcuni casi il calcolo del contagio potrebbe non rispecchiare fedelmente la realtà.

 

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Crediti foto: LaPresse

 

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