Attualità
Black Mirror si è rotto?
L’iconica serie di Charlie Brooker sopravvive fra autocitazioni ed esercizi di mestiere, ormai stanca di se stessa

L’iconica serie creata da Charlie Brooker è giunta alla settima stagione, ma qualcosa si è rotto. Nonostante le geniali trovate di marketing e una qualità di scrittura migliorata rispetto alla sesta stagione, Black Mirror non stupisce più, non spiazza, limitandosi a rovistare nelle nostre peggiori paure a sfondo tecnologico con mestiere. La domanda a questo punto è: siamo cambiati noi, è cambiato il mondo o Brooker ha perso il suo tocco magico? Vediamolo insieme. (l’articolo non contiene spoiler)
Distopia con classe
Nel 2011 Black Mirror irrompe nel mondo delle serie tv con 3 episodi che fondono in maniera perfetta critica di classe e distopia tecnologica. “The national anthem”, “15 Millions Merits”, “The Entire history of you”, sono 3 pugni allo stomaco dello spettatore costretto a vedere ogni suo sogno di progresso e benessere condiviso infranto. L’idea di Brooker è devastante: l’inferno è su questa terra, e lo abbiamo costruito noi tramite uno sviluppo tecnologico che corre all’impazzata ignorando qualunque limite etico. La formula è semplice: prendere le tecnoutopie della Silicon Valley e le ribalta in incubi totalitari, mettendoceli davanti senza indorarli.
Un mondo senza scampo
Per rendere l’incubo senza scampo, il mondo di Black Mirror elimina qualsiasi oltre, qualsiasi miracolo. Non ci sono dèi, vita dopo la morte né società future migliori a cui aspirare, questi elementi nella serie non vengono neppure nominati. Quello di Black Mirror è un materialismo puro: gli unici due elementi che determinano i destini dell’umanità e del singolo sono le tecnologie e la classe sociale. In poche parole cosa usiamo per interfacciarci con il mondo e quanta liquidità abbiamo in banca. Semplice, pulito e spaventoso, esattamente com’è il nostro presente spogliato da qualsiasi fede religiosa o politica. Se accettiamo questi limiti Black Mirror rasenta la perfezione, e noi per le prime tre stagioni li abbiamo accettati senza nemmeno rifletterci.
Qualcosa non funziona all’Inferno
E’ il 2017 ed esce la quarta stagione della nostra distopia preferita. La prima cosa che notiamo è che qualcosa non torna: i 6 episodi da cui è composta riprendono idee delle precedenti stagioni e li sviluppano in maniera parzialmente diversa. La serie comincia ad autocitarsi e a far notare un certo moralismo di fondo, come se il mostrare una distopia totalitaria nuda e cruda non bastasse più e bisognasse rimarcare che quello che stiamo vedendo è effettivamente un incubo. Episodi come “Metalhead” e “USS Callister” sono interlocutori, quasi dei riempitivi per allungare il brodo. “Hang the Dj” invece rimarca costantemente il giudizio morale sulle relazioni amorose inautentiche, con toni da boomer che non ci saremmo attesi da Brooker&company.
Non dirmi che ne hanno fatta un’altra
La quinta e la sesta stagione acuiscono i difetti riscontrati nella quarta. La serie sembra aver già detto quello che doveva dire, si limita quindi a ripeterlo in maniera lievemente differente per non annoiarci, in attesa di finire le puntate per scrivere sui social che le abbiamo viste. Il calo qualitativo è evidente, gli ascolti però rimangono ottimi: Black Mirror continua a vivere dell’aura di serie leggendaria che si è creata con le prime 3 stagioni, e si limita a portare a casa il risultato di audience con il minimo sindacale dello sforzo. I fan però cominciano a lamentarsi, Brooker non appare contento della direzione che ha preso il suo progetto, quindi la promessa per la settima stagione è che si ritorna alle gloriose origini.
Non tutte le distopie escono col buco
Eccoci dunque alle settima stagione. I 6 episodi che la compongono ci provano a tornare alle origini del progetto, ma non ci riescono. La scrittura è sicuramente più ispirata delle 3 stagioni precedenti, ma non crea nulla di memorabile. “Common People” sembra presa di forza dalla prima stagione, con la sua critica ferocissima al classismo USA e al mondo dei servizi di streaming, però dopo 5 minuti dall’inizio sappiamo già dove va a parare. “Bete Noire” è una critica al bullismo, dove però la parte fanta-tecnologica è talmente fatta male da risultarte una favola moralistica per adolescenti. “Hotel reverie” è la copia venuta male di “San Junipero”, “USS Callister: infinity” è la continuazione di un episodio già dimenticabile della quarta stagione. “Come un giocattolo” è spiazzante, ma nulla di che nel suo rivangare le utopie videoludiche anni ’90. “Eulogy” è sicuramente la puntata migliore, ma anche quella che c’entra meno col progetto: è una straziante riflessione sull’amore, l’abbandono e il ricordo.
La stanchezza di Cassandra
E’ evidente che Black Mirror è ormai in declino. Il perché è semplice: Brooker aveva concepito la serie come un ammonimento, un modo per avvertirci dove ci avrebbero portato determinate evoluzioni tecnologiche coniugate alle diseguaglianze sociali. Nonostante l’avvertimento, dal 2011 ad oggi siamo andati proprio verso l’incubo distopico dello sceneggiatore britannico, aumentando nel contempo le diseguaglianze sociali. Dato lo smacco, Brooker è diventato oramai una Cassandra stanca, che continua a profetizzare di malavoglia per sbancare il lunario.
Certamente esistono destini peggiori, tuttavia vedere un tale talento diventare un mestierante dell’incubo hi-tech è triste, tanto più se nel suo declino si porta dietro una delle più iconiche serie degli anni 2010.