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Biancaneve e l’implosione della woke era

Biancaneve e l’implosione della woke era. Affossata da polemiche e boicottaggi incrociati inutili, Biancaneve segna la fine di un’era Disney.

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Biancaneve e l'implosione della woke era. Affossata da polemiche e boicottaggi incrociati inutili, Biancaneve segna la fine di un'era Disney.
Crediti foto rachelzegler Instagram

L’ormai irrimediabile flop al botteghino del live action Biancaneve segna qualcosa di più di uno smacco commerciale per la Disney. Biancaneve infatti non è stato un flop per questioni artistiche (è un prodotto sufficiente in questo senso), ma per il peso di questioni ideologiche e politiche che ne hanno affossato le potenzialità commerciali. Vediamo che è successo.

La storia pesa (pure troppo)

La travagliata genesi del prodotto è stata determinante nel flop. Biancaneve infatti viene messa in produzione a fine 2021, per essere in seguito girato a marzo 2022. All’epoca il mondo stava affrontando i postumi della pandemia, la guerra israelo-palestinese era impensabile e il conflitto russo-ucraino appena iniziato. Il woke era ancora in salute, i programmi DEI attivi, e quindi girare un film con una protagonista di origini colombiane (la Zegler), un’attrice ed ex riservista israeliana (Gal Gadot) e tramutare i nani in “creature magiche”, in accordo con la relativa comunità statunitense, sembrava un’ottima idea.

Il problema è che fra intoppi e rinvii, Biancaneve esce nel 2025 quando i programmi DEI vengono smantellati, il conflitto russo-ucraino si è incancrenito e su quello israelo-palestinese si è creata una polarizzazione asfissiante. Detta semplice: un live action in perfetta linea con il suo tempo quando è stato pensato, appena tre anni dopo è diventato una bomba ad orologeria politica, e non per colpa della Disney.

Boicottaggi e litigi

Secondo la maggioranza degli analisti, sono stati i boicottaggi incrociati a far fallire il live action al botteghino statunitense, mentre hanno scarsamente pesato sul flop in Europa. I boicottaggi sono stati promossi dal pubblico pro Palestina per la presenza di Gal Gadot, da sempre una supporter dello stato di Israele, dall’altro dal pubblico filo-israeliano per le esternazioni pro-Palestina della protagonista Rachel Zegler.

A questo si è aggiunta, come una ciliegina sulla torta, la polemica sui nani trasformati in creature fatate create dalla CGI, che ha tolto ruoli ad attori nani in carne ed ossa, cosa che non è piaciuta ai sostenitori del programma DEI, soprattutto ora che sta venendo smantellato lasciando senza lavoro decine di migliaia di persone. Ad aggiungere benzina sul fuoco, sono arrivate le stoccate fra le due protagoniste Zegler e Gadot, che hanno utilizzato le première del film per ribadire la loro incompatibilità politica (!!).

Il flop in Europa e nel resto del mondo

Se le polemiche politiche sono state determinanti nel flop del mercato domestico, nel resto del mondo la questione è diversa. Fuori dagli USA, infatti, Biancaneve ha ottenuto risultati deludenti al botteghino perché ritenuto mediocre a livello artistico. Una CGI amatoriale, attrici non incisive, troppe canzoni dimenticabili e un messaggio di fondo (quello del Girl Power) che ormai è stato utilizzato in tutte le salse, hanno deluso il pubblico. Nonostante la stampa (in particolare quella nostrana) abbia provato ad importare le polemiche statunitensi, la realtà è che fuori dagli USA queste questioni interessano esigue minoranze iperpoliticizzate, mentre il grosso del pubblico vuole solo un prodotto d’intrattenimento fatto bene. Ed è proprio sulla scarsa fattura del prodotto che la Disney ha toppato alla grande.

Ma perché ad Hollywood la politica ce la ficcano ovunque?

A questo punto è lecito chiedersi perché un banalissimo live action per bambini, viene affossato da polemiche politiche che dovrebbero c’entrare poco con un prodotto del genere. La risposta non è semplice: il fatto più evidente è che gli USA stanno vivendo una polarizzazione ideologico-politica dopo la pandemia sempre più esasperante, che trasforma ogni cosa in una diatriba tra fazioni di irriducibili. Meno noto, ma altrettanto determinante, è invece un fattore di vil denaro: il cachet di attori e attrici viene pesantemente determinato dal numero di followers e dall’engagment che hanno sui social.

Questo porta gli attori ad essere iperattivi sui social, e a cercare di produrre materiale virale sull’argomento del giorno, con opinioni quanto più estreme per aumentare l’engagement della propria community e fidelizzarla. Gli attori sono diventati degli influencer, e come tutti gli influencer sono costretti ad esprimersi su ogni trend, e se il trend che fa engagement riguarda la guerra, eccoli costretti a recitare il ruolo di paladini di questo o quel popolo. Triste? Sì. Inevitabile? Pure.

Dopo questo flop, la Dinesy tornerà a fare i cartoni di una volta?

La speranza di molti appassionati Disney è che questo flop costringa la multinazionale statunitense a tornare indietro, all’epoca d’oro dei cartoni animati senza pretese politico-salvifiche. Una speranza più che comprensibile, che però non tiene conto dei tempi mutati e del clima che si respira negli USA. Un’intera generazione di attori, sceneggiatori, registi, addetti marketing, producer è cresciuta nel clima della cultural wars, dove persino il colore dei capelli ha reconditi significati ideologici, ed è immersa in un ambiente estremamente polarizzato dove ogni minuzia innesca polemiche che portano a boicottaggi e denunce.

A questo si aggiunge la già descritta trasformazione degli attori in influencer che campano economicamente nell’aumentare la polarizzazione, e non hanno quindi nessuna intenzione di calmarsi.

Il futuro

Nel prossimo futuro quindi potremmo assistere ad un paradosso tragi-comico: le multinazionali dell’intrattenimento che cercano il più possibile di abbassare i toni, costrette ad ingaggiare a suon di milioni star che fanno di tutto per alzarli. Sulla fattura mediocre dei prodotti invece sembra ci sia più speranza, perché la Disney nell’MCU sta già investendo più tempo e risorse per migliorare la CGI, e sta cercardo di correggere il tiro sulle sceneggiature per renderle meno raffazzonate.
In mezzo a tutto questo ci siamo noi, sfiniti da polemiche che riducono le tragedie del mondo a modi per venderci prodotti sempre più mediocri.

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