Attualità
Aborto in Polonia: la lotta per il mantenimento dei diritti fondamentali
Venerdì sera a Varsavia, capitale polacca, si è tenuta la più grande manifestazione contro il governo da quando alla guida del paese c’è il partito Diritto e Giustizia (2015).
Migliaia di persone hanno disobbedito alle restrizioni – che volevano non più di cinque persone riunite – per incontrarsi a manifestare il proprio dissenso alla sentenza della Corte dove si è dichiarato incostituzionale l’aborto in caso di malformazioni gravi del feto. L’istituzione giuridica era stata interrogata da un centinaio di parlamentari che si opponevano all’attuale legge sull’aborto, nonostante sia tra le più stringenti d’Europa.
Insomma, se dovesse ufficializzarsi la sentenza, una donna polacca potrebbe ricorrere all’aborto solamente in caso di stupro, di incesto o di grave rischio per la vita della donna, o andando all’estero, in Germania, Slovacchia o Repubblica Ceca, dove poter ricorrere all’interruzione di gravidanza è più facile ed è un diritto garantito con maggiore libertà.
Le associazioni femministe, parte integrante delle rivolte, hanno denunciato che sono ancora più di 100.000 le donne polacche che devono ricorrere ad aborti clandestini o agli ospedali stranieri. Del resto, dei 1.100 aborti ufficiali avuti in Polonia nel 2019, solo il 2,4% rientrerebbe nei limiti della nuova sentenza, sostenuta dal governo e da una Chiesa cattolica molto influente.
Anche se la sentenza non ha ancora validità ufficiale, numerosi ospedali hanno già cancellato appuntamenti per interruzioni di gravidanza prenotate.
Tutto questo accade mentre in Europa le istituzioni Ue stanno valutando di cambiare le regole di gestione dei fondi europei agli stati membri garantendo maggiori entrate a quegli stati che portano avanti principi democratici e anti-autoritari.
Senza neanche farlo apposta, di tutti i governi nazionali – freddi nei confronti dell’idea di correlare i fondi al rispetto dei principi democratici, temendo sanzioni – i due che si sono mostrati più contrari sono quelli di Ungheria e Polonia, che sarebbero anche i due stati più colpiti da un’eventuale riforma in questo senso.
Sono tre le strade che l’Ue può percorrere per garantire lo stato di diritto nei paesi membri, e includono l‘attività di monitoraggio e consultazione sullo stato di diritto (appena introdotta dalla Commissione europea), i dialoghi svolti ogni anno sotto l’egida del Consiglio, e il meccanismo di cooperazione e verifica, previsto però solo per la Romania e la Bulgaria.
La lotta delle donne polacche non è più la lotta per la conquista, ma per la difesa di un diritto che si dava per acquisito, anche se largamente perfettibile. Nei periodi critici come quello che ci aspetta, non saranno più dati per scontati molti elementi della nostra vita che credevamo imprescindibili. La prevenzione, se la popolazione davvero vorrà prevenire la deriva oclocratica e autoritaria, la si farà con l’ascolto delle parti, con la responsabilizzazione e mettendo in dubbio, sempre, ogni tipo di limitazione, e magari appurare dopo un’attenta critica che quella limitazione era davvero necessaria, non ideologica.
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Crediti Foto: LaPresse