Arte
MEI. Michela Murgia e le “minchiate di Battiato”: come non parlare mai di musica
Il più grande dramma della nostra società non è certo legato a qualche crisi economica, sociale o politica. Altro che Coronavirus, fine del capitalismo e catastrofi varie ed eventuali.
Il vero problema è che siamo la società della post-ironia. Quella in cui tutti sono contemporaneamente seri e ironici, tutti dicono nello stesso tempo qualcosa in cui credono e qualcosa in cui non credono, senza più filtri, dichiarazioni esplicite e Steli di Rosetta ad aiutarci per decifrare gli impervi layer ironici dei discorsi.
Quindi, quando si parla di qualcosa, chiunque può capire – alla fine – quello che vuole, e tutto è ribaltabile e facilmente smentibile.
IL FAMOSO VIDEO DI MICHELA MURGIA
Prendiamo uno dei casi più recenti e chiacchierati: l’ormai tristemente celebre video dove Michela Murgia, parlando con Chiara Valerio in una delle puntate quotidiane di “Buon vicinato“, attacca i testi di Franco Battiato definendoli “minchiate assolute, citazioni su citazioni e nessun significato reale”.
La critica prende piede dagli ascolti quotidiani attuali della scrittrice sarda che si concentrano pressoché in maniera esclusiva su Mozart. Da lì, si passa ad elogiare i libretti di Lorenzo Da Ponte, autore delle opere “Le nozze di Figaro“, “Don Giovanni” e “Così fan tutte“. Il discorso, che verte sulla potenza dell’autorialità di Da Ponte e il suo valore letterario, è dai toni seri e benché colloquiale, sentitamente appassionato, perlomeno dalla Murgia (decisamente più “leggera”, per non dire impreparata, la collega Valerio).
Ed ecco che il discorso scivola sul tema piccante: una grande musica “dà spessore” anche a dei testi “fragili”, così “Battiato è considerato un autore intellettuale”. Da lì in poi le famose “minchiate” di Battiato, la difesa del misticismo di Battiato da parte della Valerio.
Aggredita da pressoché tutta la rete, la Murgia ha poi giustificato – goffamente – la sua uscita appigliandosi un po’ a tutto quello che trovava: un pesce d’aprile, un format in cui a tavolino si sceglie chi difende e chi attacca, un esercizio di dialettica e via dicendo.
IL FINTO INTELLETTUALISMO DI MICHELA MURGIA
Niente di tutto questo ha senso.
La Murgia parla di “format” e di “contesto non capito”: seppure sicuramente tutte le puntate dell’appuntamento quotidiano vertono sull’incendiaria provocazione di “distruggere” qualcosa, non c’è alcuno spirito ironico nelle parole della Murgia, quanto un sincero distacco intellettuale verso qualcosa che non sembra avere la complessità di un Da Ponte, per fare un paragone fatto realmente da lei.
Il contesto infatti deve essere chiaro affinché tutti possano decifrare i livelli di ironia – presunti, direi – presenti in un discorso tra amiche. Infatti quando la Valerio difende il misticismo di Sabrina Salerno, l’ironia si coglie e un sorriso scappa alla Murgia come a noi. Ma lo sguardo serioso della Murgia in che modo dovrebbe porci nella dimensione dell’ironia?
Esercizio di dialettica? Il discorso che le due scrittrici intraprendono non ha alcuno spirito di “scontro retorico”, basandosi su giudizi personalissimi e nessun supporto alle proprie opinioni. Infatti tanto la Murgia quanto la Valerio non riescono a dire nulla di più di “scrive minchiate”, “no ma fa ballare quindi va bene”. Le loro opinioni non sono più profonde di quello che possono dire due casalinghe annoiate messe di fronte all’ostile stile lirico di Battiato. Non c’è alcuna riflessione sulle motivazioni effettive, né tantomeno nessuna giustificazione del contesto sociale e culturale da cui Battiato proveniva nel momento della scrittura di “Cuccuruccuccu“.
Michela Murgia ci mostra come NON parlare di musica, in nessun modo e in nessun caso.
Arroccata nel suo intellettualismo, spara a zero su un argomento senza portare nessuna tesi, neppure discutibile: affermare che qualcosa è “una minchiata” non ha nessuno spirito critico e serve soltanto ad aizzare le persone, senza permettere loro di ragionare in una direzione o nell’altra.
Perché ovviamente Battiato, come la sua musica, è criticabile e discutibile, e la critica ponderata, come strumento di comprensione o al contrario di ridimensionamento dell’importanza artistica, musicale e letteraria di un autore, è essenziale.
Ma a cosa serve una discussione dove non si va al di là del giudizio sommario, confrontandolo – senza ironia – con “Parco Sempione” degli Elio e Le Storie Tese, o buttando lì le “suggestioni” di De Gregori?
Due intellettuali che criticano in maniera banale il (finto) intellettualismo di Battiato. Non mi viene in mente nulla di più autoreferenziale e radical chic.
IO NON PARLO DI COSE CHE NON CONOSCO
Un famoso spezzone di Nanni Moretti tratto da “Sogni d’oro” vede l’attore e regista romano sbottare: “tutti si sentono in diritto, dovere di parlare di cinema”, per poi esplodere in “io non parlo di cose che non conosco!”.
E così tutti si sentono in diritto di parlare di musica.
L’essere “intellettuale” come stato di fatto e non come effetto di un processo di critica e ragionamento è il viatico più facile per allontanare le persone dall’entrare dentro il pensiero di un autore e un musicista. Perché, per il cosiddetto bias di conferma, qualsiasi ascoltatore distratto, magari infastidito dalla complessità dell’opera di Franco Battiato, potrebbe immediatamente riconoscersi nelle parole della Murgia, difeso ulteriormente dal (presupposto) “intellettualismo vero” della scrittrice. D’altronde solo un intellettuale vero potrebbe riconoscerne uno falso, no?
L’unico momento in cui la Valerio riesce a mettere una pezza a questo incredibile momento di imbarazzo è nell’analisi di “Cuccuruccuccu” che per quanto frettolosa e approssimativa, almeno prova a scavare oltre il mero significante delle parole.
Insomma, la Murgia ci dimostra che parlare di musica si può fare sempre e a qualsiasi livello, ma che non tutte le opinioni devono essere ascoltate per forza. L’opera di Franco Battiato è tra le più complesse della musica leggera italiana e non a caso da decenni si continua a venerare come “Il Maestro“, uno dei pochissimi capaci di prendere la cultura pop e frullarla con il misticismo orientale e il mondo letterario-filosofico dell’occidente, pur parlando di “barbe col rasoio elettrico” o “uva passa”.
Anche a voler prendere per buono il tentativo di “dissacrare l’intoccabile”, consigliamo alla Murgia e alla sua collega di affinare le proprie doti retoriche e di prepararsi meglio in campi in cui evidentemente sono carenti. Perché questo modo di commentare la musica fa male a tutti.
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