Arte
Intervista a Raimondo Galeano: Il colore non esiste e la luce va veloce
A Bologna vive uno dei pittori più innovativi degli ultimi 50 anni, Raimondo Galeano, la cui vita è da sempre vividamente percorsa da musica, arte e scienza. Il grande critico d’arte Achille Bonito Oliva ha spesso parlato di lui, ad esempio nel progetto editoriale “Artisti solitari-Uno sguardo dal Ponte sul terzo millennio”, Silvana Editoriale, scegliendolo tra gli Artisti che hanno gravitato all’interno dell’importante galleria romana “Il Ponte Contemporanea”, una delle realtà artistiche italiane più visionarie. “La luce dà forma e colore a tutte le cose, io dò forma e colore alla luce, perchè il colore come viene comunemente immaginato non esiste”. E così già a fine anni ’70 Galeano è spinto da una vis estetica e poetica imponente, come le sue tele, che fotografano, come in un negativo al lumen, reale e onirico, icone della musica, della pop-art, della storia e galassie, “tracce del visibile” e “navigatori del cosmo” (cit. dei titoli di alcune sue prime Personali). Come in un mito platonico, l’uomo liberato da costrutti e “limiti” del colore rischia di essere abbagliato dalla luce, spiazzato da una nuova Weltanschauung, costretto a rimettere in discussione i paradigmi secondo cui l’Arte si era mossa fino ad allora. La luce si fa scrittura e lo spettatore interagisce con l’opera, ogni volta ridisegnata da nuove luci e ombre, in una performance dialogica tra autore e spettatore (si veda qui sotto il video dalla Biennale di Venezia). Galeano è presto conosciuto in tutto il mondo come il “pittore della luce, pittore illuminato”. Ha esposto nelle più note gallerie, mostre, festival, in Italia e all’estero: tra cui Marsiglia, Atene, New York, Pechino, Monte-Carlo e Johannesburg. Tra gli Artisti della 57esima Biennale d’Arte di Venezia, nella collettiva “The Juices of Time”. La sua lunga ricerca “in solitaria” gli ha permesso di sviluppare nuovi linguaggi artistici e, come tutti i nostri protagonisti di “Indie-gesta”, ha sempre viaggiato consapevolmente controcorrente.
Quello che molti non sanno è che “il tuo primo amore” è stato la Musica…
E’ vero, sono nato a Catanzaro ma mi sono trasferito da piccolo a Bologna, iniziando a lavorare da ragazzino. Era la fine degli anni ’60, avevo circa 17 anni, ed ero un po’ il factotum all’azienda Bauer, nella zona industriale, che importava le Fender dall’America e le assemblava qui. Pensa che all’inizio il posto era grande quanto uno sgabuzzino e presto si è ampliato, diventando un capannone di oltre 10.000 m2 per contenere l’infinità di strumenti in continuo arrivo da oltreoceano. Lavorando lì mi sono davvero appassionato alla musica, tanto da frequentare una scuola di elettrotecnica in cui ho affinato la tecnica per costruire o assemblare gli strumenti in azienda. A 20 anni sono diventato tecnico del suono, seguendo artisti come Ornella Vanoni, Gino Paoli, le tournée di Mina, Giorgio Gaber, Gianni Morandi, Little Tony e tanti altri.
La Musica è Arte: il passaggio al mondo dell’Arte pittorica come avviene?
Il mio destino, soprattutto quello della pittura, è strettamente legato alla Musica. Devi sapere che come tecnico del suono il mio plus era che ai concerti mi portavo dietro sempre più di un impianto, ne montavo già 3 perché spesso capitava che qualcosa non funzionasse e così erano pronti immediatamente quelli di scorta, senza dover interrompere il concerto. Si era sparsa la voce che con me “si andava sul sicuro” e tutti si fidavano e mi volevano in tour. Succede però che una sera mi dimentico un cavetto fondamentale in un locale a Bologna che all’epoca si chiamava “Black Shadow”. Torno indietro e vedo in fondo al club un tavolino dove si faceva ancora parecchia baldoria e il proprietario mi indica niente di meno che Mario Schifano, Mimmo Rotella, Franco Angeli e Marina Ripa di Meana. Mi invitano a sedermi con loro e bevo il mio primo calice di Champagne! Dopo quell’incontro la mia vita cambia immediatamente: lascio un lavoro sicuro e che mi aveva reso ricco per andare a Roma a lavorare a bottega da Franco Angeli (pittore romano di fama mondiale, molto impegnato socialmente, fondò la “Scuola di Piazza del Popolo” con Mario Schifano e Tano Festa, a cui aderirono anche Francesco Lo Savio, Pino Pascali, Jannis Kounellis,Fabio Mauri, e Galeano per un periodo, ndA).
E un grande Artista come Franco Angeli che “eredità” ti ha lasciato?
Quegli anni con lui e a stretto contatto con l’ambiente artistico di Roma mi hanno davvero aperto la mente. Era un periodo di grande fervore artistico e sociale, una volta Franco mi disse: “Devi studiare la storia dell’Arte per poi non fare niente di quello che c’è scritto”. Mi ricordo come fosse ieri un aneddoto, eravamo in studio e doveva dipingere il cielo ma mancava la vernice, allora scrisse CIELO in lettere!
Come hai poi integrato tutto il tuo importante background musicale con la pittura?
La musica ha sempre fatto parte del mio processo creativo. Ad esempio nel ’97 a Roma presso un’importante galleria (Il Ponte Contemporanea, vedi introduzione, ndA) c’è stata la mia mostra “Stars”, con una parte dedicata ad Anna Magnani e ho scelto di far sentire in sottofondo lei che cantava. In un’altra parte ho fatto sentire Elvis che cantava “sopra” ai miei quadri che lo ritraevano.
Com’è nata la tua tecnica inconfondibile, che ti ha consacrato come “il Pittore della luce”?
Dopo diverso tempo a bottega dai più grandi ho cominciato a farmi conoscere e ho notato che i pittori navigati stavano “scappando” dalla pittura, “la Pittura è morta” dicevano ma mi rendevo conto che in realtà bisognava aprire nuove strade alla Pittura. Se si guarda al Rinascimento ad esempio, Michelangelo, Raffaello e Leonardo hanno dipinto tutti e tre la “Madonna col bambino” ma in modo molto diverso. Sentivo che dovevo guardare alla Pittura con occhi nuovi. Negli anni ’70 ho iniziato a studiare e lavorare alla scientificità del colore: sai perché vediamo un determinato colore? E’ la luce che gli oggetti riflettono! Nei nostri occhi “non c’è” colore e ognuno percepisce il colore in modo diverso. Allora mi sono chiesto come io potessi usare la luce nell’Arte.
[Breve approfondimento: il primo a intuire che gli oggetti non sono colorati fu Isaac Newton nel 1666, per provarlo, fece in modo che un sottile fascio di luce solare attraversasse un prisma di vetro. Uscendo dal prisma, la luce si scomponeva a formare un arcobaleno di colori, o spettro. Newton ne dedusse che la luce del sole (detta anche luce bianca) non è pura, ma composta di colori diversi. Il colore è legato alla capacità di certi raggi di creare determinate reazioni nel nostro sistema nervoso. L’esperienza del colore è collegata a una proprietà fisica della luce: la lunghezza d’onda. Se l’occhio rispondesse in modo identico a tutte le lunghezze d’onda, il mondo apparirebbe in bianco e nero: il problema è quindi quello di tradurre lunghezze d’onda diverse in risposte neurali diverse, si veda Paola Bressan, “Il colore della luna”, ed. Laterza, 2007]
Raimondo: I primi quadri erano creati con “piccole dosi di luce” che mi sono fatto prestare dagli orafi, quella che usavano per illuminare le lancette dell’orologio. Creavo dei quadretti con le stelle, galassie o soggetti primordiali sospesi tra mondi terrestri ed extraterrestri, ma in ogni caso sempre da decifrare, Gli Epossidici. A differenza di adesso, all’inizio del mio percorso ero ancora legato alla “Scuola Romana” e nelle mie opere c’erano residui di colore perché per un pittore è difficile staccarsi dal colore di punto in bianco.Mischiavo colore e luce con una quantità consistente di polveri luminescenti (il LUMEN, pigmentio luminescente, visibile in assenza di luce) e col cemento e il legno per capire come avrebbero reagito insieme. I quadri rappresentavano perlopiù delle galassie e dei segni, il linguaggio di una civiltà che immaginavo lanciare dei messaggi a noi terrestri tramite la luce, la quale, come sappiamo, viaggia nel cosmo a 300.000 km al secondo. Ero da solo nella mia ricerca e ormai sono 40 anni che i miei quadri viaggiano letteralmente alla velocità della luce, seguendo le frequenze. Quello che mi ha sempre affascinato e che voglio trasmettere agli altri è che la luce è un compromesso continuo, come nella vita, ma va più veloce della vita.
La tua poetica ed estetica è completamente fusa con la Scienza….
Sì, prendi Einstein, diceva: nell’ambito del sapere la fantasia è limitata, quello che si conosce lo sai già, devi andare oltre la conoscenza
[Imagination is more important than knowledge. Knowledge is limited. Imagination encircles the world,stimulating progress, giving birth to evolution…L’immaginazione è più importante della conoscenza. La conoscenza è limitata. L’immaginazione abbraccia il mondo, stimolando il progressso, dando vita all’evoluzione, Einstein intervistato dal Saturday Evening Post nel 1929, ndA]
Nel 2016 sei stato invitato all’importante manifestazione di divulgazione scientifica “Festival della luce” sul Lago di Como con la tua esposizione “NAVIGATORI DEL COSMO”: una significativa conferma del tuo percorso anche da parte del mondo scientifico…
Si, è stata un’esperienza importante. Quello a cui lavoro in questi anni sono opere con cui i visitatori possono interagire, diventando a loro volta protagonisti. Questa mia idea e la mia ricerca sulla luce aveva molto colpito anche i Premi Nobel relatori del Festival. E’ tutto basato sul fatto che attraverso gli speciali pigmenti di luce, la penombra rivela volti e figure che la luce nasconde e quindi ogni quadro può essere “rivisitato” da migliaia di spettatori che sovrappongono la loro silhouette e sarà sempre diverso. E proprio in quell’occasione gli scienziati mi confermavano che la luce non muore mai, ad esempio anche se le stelle muoiono, dopo milioni di anni, ne vediamo ancora la luce.
[«La luce viaggia a una velocità finita, perciò tanto più una stella è lontana da noi, tanto indietro nel passato è stata emessa la luce che vediamo, e che per giungere da noi impiega del tempo….la luce ha la velocità di 300mila km al secondo, se una stella è a mille anni luce, noi la vediamo com’era mille anni fa». ». Davide Gandolfi, astrofisico dell’Università di Torino.]
Quale può essere il futuro della luce nell’Arte secondo te?
Dopo aver capito che la luce va più veloce della vita mi chiedo come fermare il tempo! Sai, adesso tutti “giocano” con la luce, non come quando ho iniziato io che ero solo in questa ricerca fatta di continui tentativi e non c’era internet da cui prendere ispirazione attraverso il lavoro di altri. In internet se ne vedono di ogni, molti prendono semplicemente degli schermi luminosi, non dipingono, va di moda così, stupire con la tecnologia. Ho visto diversi avermi evidentemente copiato ma penso anche che se da un mio lavoro, sudatissimo, nascono mille altre cose così io ne sono onorato. Ad esempio a fine ‘800 gli Impressionisti escono en plein air, si sono rendono conto che “non esiste” il colore, dipingono velocemente per non perderlo e coglierne l’impressione.
[Gli impressionisti infatti volevano riprodurre sulla tela le sensazioni e le percezioni visive che il paesaggio, -o le figure umane, come nei quadri di Manet, Degas e Renoir-, comunicava loro nelle varie ore del giorno e in particolari condizioni di luce. Dall’atelier al chiuso si passò en plein air, per uno studio dal vero del cielo, dell’atmosfera, delle acque. Cambiò un concetto fondamentale: il paesaggio, l’ambiente, non è mero “sfondo”, ma avvolge le figure. Oggetti e persone sono trattati con la stessa pennellata ampia e decisa. Tratteremo questo argomento più avanti nella nostra rubrica “Indie-gesta”, ndA]
Manet e Renoir erano ospiti di Monet quando venne dipinto questo quadro en plein air
Oppure guarda Caravaggio: se vai nella “Chiesa degli Artisti” a Roma (Basilica di Santa Maria in Montesanto in piazza del Popolo, tradizionalmente nota come ‘Chiesa degli artisti’, ndA)
[Nel 1602 monsignor Cerasi gli chiese di dipingere due tele per la sua cappella nella chiesa, a sinistra degli archi di accesso dell’attuale piazza del Popolo. Caravaggio non si lascia influenzare dal gusto imperante all’epoca, proprio anche dei suoi committenti, e realizza la Crocefissione di San Pietro e la Conversione di San Paolo servendosi di ambientazioni popolari e di una tecnica della luce totalmente innovativa.]
In assenza di luce adeguata non si possono percepire appieno tutti i volumi, i colori, i tratti. E pensa che lui non ha avuto a disposizione tutti i materiali che ho potuto ad esempio reperire io, come il lumen, ma gli studiosi hanno scoperto centinaia di lucciole usate all’interno delle sue vernici. Caravaggio quindi più di 400 anni fa aveva già iniziato scoperto come “illuminare” i dipinti per creare una pittura diversa ma non ne aveva i mezzi.
Vi aspettiamo alla prossima “puntata” dell’intervista a Raimondo Galeano e per il viaggio di “Indie-Gesta” nel mondo dell’Arte tra luce e colore!
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