Psicologia
SPAZIO MENTE. La sindrome di Asperger
Un viaggio nel mondo della neurodiversità
La sindrome di Asperger è considerata da molti studiosi una forma di autismo più lieve, definita “ad elevato funzionamento” perché i soggetti che rientrano nel quadro sintomatologico adottano comportamenti ripetitivi, schematici e si relazionano poco con gli altri proprio come i soggetti autistici ma, chi ne è affetto, può condurre un’esistenza assolutamente normale e di successo. A differenza da chi è affetto da autismo, però, un individuo con sindrome di Asperger sperimenta e manifesta sentimenti di affetto ed attaccamento nei confronti di amici e familiari, ha un’intelligenza e un linguaggio nella norma, non presenta ritardi dal punto di vista linguistico e i sintomi della sindrome non peggiorano col passare degli anni.
Il termine Asperger fu usato per la prima volta da un pediatra viennese all’inizio del ‘900 – Hans Asperger – che definì i bambini con la sindrome che poi prese il suo nome e di cui presentava egli stesso le manifestazioni. Il quadro sintomatologico, fino a qualche anno fa, era quasi del tutto sconosciuto, se non agli esperti del settore. Il medico che se ne occupò per primo, purtroppo, morì prima che il suo saggio fosse pubblicato. Oggi, invece, è piuttosto noto, grazie anche ad alcuni personaggi noti che hanno dichiarato pubblicamente di esserne affetti come la famosa scrittrice Susanna Tamaro.
La sindrome di Asperger è una patologia pervasiva dello sviluppo, appartenente alla categoria dei disturbi dello spettro autistico ed è stata riconosciuta come malattia nel 1993 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Le caratteristiche principali rilevate negli individui che ne soffrono, definiti “Aspie”, sono una compromissione persistente delle interazioni sociali e degli schemi comportamentali stereotipati e caratterizzati da ripetizioni. Come già anticipato, non sono presenti ritardi importanti nelle abilità linguistiche, nello sviluppo cognitivo o nelle capacità di avere un comportamento adeguato alle circostanze (tranne che nelle interazioni sociali), a differenza di quanto avviene nell’autismo classico. Le cause della sindrome non sono ancora del tutto conosciute, ma si pensa che possa esistere una predisposizione genetica.
Alessandra Bisanti, Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
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Crediti Foto: SHUTTERSTOCK