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Myanmar: 557 vittime da inizio proteste. Uova di pasqua contro il golpe

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Altre sette vittime nelle proteste del fine settimana in Myanmar, che fanno salire il bilancio dei morti dall’avvento del golpe a quota 557: lo riporta l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici, che ogni fine settimana aggiorna il mondo sul conteggio dei manifestanti uccisi per conto dei golpisti.

L’associazione con sede in Thailandia riferisce che in realtà sarebbero solamente quattro i morti realmente sabato (quelli del conteggio di ieri, appunto), ma al conteggio vanno aggiunte tre vittime non considerate nei giorni precedenti. 2.656 sono invece gli incarcerati durante le manifestazioni, che ormai proseguono ininterrotte da due mesi.

Nuove forme di protesta

E nonostante i cristiani rappresentino in Myanmar appena il 4% della popolazione totale, quest’anno la Pasqua è stata veicolo di una nuova forma di protesta, talmente cristallina da sembrare davvero riportata da Marco Polo o da Erodoto: per la Pasqua infatti, in segno di protesta ai militari, i cittadini di tutto il Myanmar, la grande maggioranza in disaccordo con il golpe, ha posato sulla soglia di casa di amici, parenti e vicini uova sode con scritte e disegni a decorarle. “Democrazia”, o il saluto a tre dita, divenuto simbolo della protesta, della leader Suu Kyi, la premier incarcerata a inizio febbraio,  come segno di una protesta talmente pacifica, da poter essere regalata sotto forma di buon augurio.

Multinazionali a rischio

Intanto la francese Total, presente nel paese dal 1992, sta passando un po’ di grane in diversi paesi negli ultimi tempi, ed anche in Myanmar, dove i suoi impianti consentono l’accesso all’energia elettrica a milioni di persone non solo birmane, ma anche soprattutto thailandesi, ma ha ufficialmente comunicato che resterà nel paese per mantenere la tutela del proprio personale, dirigenti e dipendenti, che lavorano in Myanmar.

“Abbiamo deciso di fermare i nostri progetti e le nostre perforazioni in Birmania, ma continuiamo a produrre gas — ha detto l’amministratore delegato della Total, Patrick Pouyanné — non per mantenere i nostri profitti, né per continuare a pagare le tasse alla giunta militare, ma per garantire la sicurezza del nostro personale, dipendenti e dirigenti, per evitare loro la prigione o il lavoro forzato e soprattutto per evitare di peggiorare ulteriormente le condizioni di vita di queste popolazioni tagliando l’elettricità a milioni di persone”. Inoltre, “poiché non posso prendere la decisione di interrompere la produzione …, oggi prendo la decisione di pagare alle associazioni che lavorano per i diritti umani in Birmania l’equivalente delle tasse che dovremo pagare allo Stato in futuro”, ha concluso.

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Foto: LaPresse