Interviste
Mei, Rubrica. #NEWMUSICTHURSDAY. Incontriamo Giulio Larovere
Di Marta Scaccabarozzi
Un progetto ambizioso si cela dietro il disco “Road Sweet Home”, nuovo lavoro del cantautore ed attore Giulio Larovere. Ci facciamo raccontare tutta da lui, in occasione della release del singolo “To see a lonely heart”.
1 – Ciao Giulio e benvenuto sul sito del MEI. Cantautore e attore. Quanto c’è dell’uno e dell’altro in te? Quanto le due arti sono in connessione nei tuoi progetti?
Grazie a voi per questo spazio! Ho sempre suonato, fin da piccolo e grazie ai miei genitori, la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Dieci anni fa, dopo aver visto uno spettacolo di improvvisazione teatrale, ho chiesto informazioni agli attori che erano sul palco e ho scoperto un mondo che mi ha portato a diventare un attore ed un insegnante di improvvisazione teatrale. Otto anni fa ho lasciato il mio posto di lavoro “tradizionale” per dedicarmi anima e corpo alla musica, la mia vera passione. L’improvvisazione ti insegna a dire “SI” non solo sul palco ma nella vita di tutti i giorni, ti insegna ad accogliere le proposte senza giudicarle, ad accettare gli altri e a proporre a tua volta nuove idee per far proseguire la storia. Penso sia grazie all’improvvisazione teatrale che ho detto “SI” alla mia nuova vita quindi mi sento di affermare che queste due arti siano profondamente connesse, per quanto mi riguarda.
2 – Parliamo di musica. Hai recentemente pubblicato il tuo nuovo singolo, “To see a lonely heart”. Come è nata la canzone?
I brani di questo disco sono usciti in due notti, esattamente il 4 e 5 Febbraio del 2020, nel silenzio della mia casa, catturati nella loro versione più scarna, chitarra e voce, cantando sottovoce per non svegliare i vicini. I testi sono tratti da un libro che mi è stato dato da una mia amica, Paola Fiammenghi, conosciuta a teatro. Questo libro è un diario “on the road” della vita di John Knewock che, a soli 20 anni, parte per esplorare in mondo con lo zaino in spalla. Il suo desiderio di libertà si scontra col desiderio, che spesso si trasforma in paura, di dare e ricevere amore e ne parla chiaramente in questa canzone. Nel testo recita “Per comprendere cosa sia un cuore solitario devi prima recitare la parte di un amante per vedere cosa ti sei perso” e “La parte più triste che vi dico, nella mia paura sono scappato dall’amore che ho cercato per tutta la mia vita”. Questi temi di “libertà” e “paura di perdere la libertà quando entri in relazione” hanno sempre risuonato dentro di me e ho colto l’occasione per parlarne a mio modo, con una canzone.
3 – “To see a lonely heart”, in realtà, è parte di un progetto decisamente grande e ambizioso. Di cosa si tratta?
“Road Sweet Home” titolo del diario e titolo del disco che ho prodotto, è un progetto in cui mi sono preso carico di fare arrivare ai giorni nostri i messaggi e le storie rimaste celate nelle pagine, componendo le melodie e le musiche di quelle canzoni che ci sono arrivate scritte ma non musicate, lasciandomi ispirare dai luoghi e dalle vicende dell’autore narrate dalla sua stessa mano. E’ un progetto che è partito molto “sussurrato”, ascoltando la storia di John e gli aneddoti raccontati da Paola davanti ad un caffè, scoprendo piano piano l’amicizia che li lega tutt’ora anche se John non è più tra di noi e comprendendo quanto le persone che lo han conosciuto, lo amino profondamente. Ad ogni persona alla quale ho proposto di far parte di questo viaggio, corrispondeva un aumento esponenziale dell’energia. Mi sono accorto che l’entusiasmo che tutti hanno messo sul tavolo, unito al mio, ha portato a creare un progetto discografico molto più ricco ed ambizioso: due videoclip, un documentario di 10 puntate (una per ogni canzone), un crowdfunding pieno di bellissime ricompense per dare il giusto riconoscimento ed un ufficio stampa e di social media management che lo ha portato anche qui da voi.
4 – Giulio e John sono due persone che, in questo disco, vivono insieme. In che modo il tuo personaggio e quello di John sono legati?
Vorrei fare una premessa. Io non credo che tutto questo sia capitato per caso. Credo anzi che John volesse che il suo messaggio, che è la sua eredità (nel libro lo dice chiaramente) facesse un giro ancora per questo mondo e stavolta raggiungesse, oltre alle persone che ha amato e che lo hanno conosciuto, più persone possibile. John ha amato la vita, la libertà e l’Amore e queste sono le cose che ci legano maggiormente anche se, a differenza sua, io non ho avuto il coraggio di lasciare casa dei miei a 20 anni per seguire la mia strada. Erano altri tempi, altre circostanze e un altro “mondo” rispetto a quello odierno. Nel mio piccolo però, anch’io a 38 anni ho lasciato il mio lavoro, il mio stipendio sicuro e tanti privilegi e ho preso coraggio di percorrere il mio cammino. Non è ancora tempo di fare bilanci (anche lui li ha fatti ad età più avanzata) e mi auguro di potermi guardare indietro con orgoglio e compassione, come ha fatto lui prima di lasciarci.
5 – Per te la musica deve avere come finalità il raccontare qualche cosa? Magari la vita stessa?
Raccontare la vita stessa lo considero molto complicato, data la vastità degli argomenti che la compongono. Ammiro tanto i cantautori e gli artisti italiani e stranieri che riescono a coglierne l’essenza dalla propria esperienza e a trasmettere sensazioni, emozioni racchiudendole in una canzone di pochi minuti. Credo sia uno stato di grazia che spero di provare e, poi, di riuscire a trasmettere. Finché sarò vivo, sarà il mio obiettivo da raggiungere e, nel caso non ci riuscissi, almeno potrò affermare di averci provato con tutto me stesso.
6 – Ultima domanda: cosa diresti a John, se fosse ancora vivo, dopo avergli dedicato questo disco e cosa lui direbbe a te?
Lo abbraccerei, commosso e gli direi: “E’ davvero un piacere conoscerti di persona! Sono onorato che tu mi abbia scelto!” Non saprei cosa risponderebbe ma spero: “Grazie per aver accettato di portare in giro il mio messaggio e le mie canzoni e grazie per la tua musica!”
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Crediti foto: Mei