Attualità
Caso Navalny: prove concrete di avvelenamento
I test tossicologici sul sangue di Alexei Navalny, il dissidente russo ricoverato all’ospedale Charité di Berlino, non lasciano dubbi. L’avvocato e blogger nemico di Putin è stato avvelenato con un agente nervino del gruppo Novichok.
La posizione occidentale
A rendere ufficiale la notizia è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel, che per voce di Steffen Seibert, portavoce del governo tedesco e capo dell’ufficio stampa del governo ha ribadito la scoperta di settimana scorsa: i medici hanno trovato prove inconfutabili dell’avvelenamento avvenuto tramite agente nervino.
L’esecutivo berlinese ha espresso in una nota la sua “condanna” a questo attacco, chiedendo al governo russo di “fare chiarezza con urgenza”, e invitando la Comunità Europea e i paesi della Nato a fare pressioni affinché il Cremlino indaghi limpidamente sull’accaduto. Alla richiesta hanno fatto eco le voci di tutti gli esecutivi occidentali, tra cui la Farnesina, che in una nota ha espresso una posizione identica a quella tedesca sull’accaduto.
La difesa russa
In risposta Dmitri Peskov, portavoce del presidente Vladimir Putin, ha rimbalzato le accuse di implicazione del governo, definendole “vuoto rumore”.
Intanto prosegue la strategia del complotto, con il capo dell’intelligence russa all’estero, Serghiei Narishkin, che afferma di non poter escludere che il caso Navalny sia stato costruito ad hoc dai paesi occidentali per svilire il potere di Putin, proprio durante i disordini in Bielorussia e in vista delle prossime elezioni federali russe. Narishkin ha poi ribadito la posizione di Mosca, ripetendo che i medici russi non hanno trovato traccia di veleno nel sangue di Navalny.
Affari di famiglia
Negli ultimi anni sono state molte le persone scomode ai politici del Cremlino morte per avvelenamento. Nel 1978 Georgi Markov, autore bulgaro dalle idee antigovernative, morì pochi giorni dopo essere stato avvelenato con un proiettile pieno di veleno.
Più recentemente, durante la campagna elettorale del 2004 per le elezioni presidenziali ucraine, il candidato Viktor Yushchenko si ammalò gravemente. Parte del suo volto si paralizzò, il suo corpo si riempì di escoriazioni e trovarono poco dopo tracce di diossina nel suo sangue. Fortunatamente sopravvisse.
L’ex agente del Kgb Alexander Livtinenko, rifugiato da anni a Londra, morì nel 2006 dopo aver incontrato alcuni agenti segreti russi in un hotel e aver passato alcune settimane di malattia in cui aveva denunciato pubblicamente Vladimir Putin come mandante del suo avvelenamento.
Nel 2012, mentre faceva jogging nel quartiere londinese di Weybridge, dove si era trasferito nel 2010 temendo per la propria incolumità, Alexander Perepilichnyy si accasciò a terra e morì. Era un matematico russo arricchitosi tramite la finanza, che si era fatto alcuni nemici tra gli alti funzionari della politica russa dopo aver denunciato una enorme truffa erariale.
Da sempre gli avvelenamenti di stampo politico hanno un valore fondamentale nel mantenimento – o nel cambiamento – del potere, anche se, come sottolineato da più politologi, dall’avvelenare Alexei Navalny il governo russo non riceverebbe nulla di buono.
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Crediti Foto: LaPresse