Attualità
Saturnino, intervista ad un bassista “spaziale”
Le interviste possono nascere in tanti modi: programmate, “sudate” dopo il corteggiamento del giornalista all’Artista, o per caso, nel modo più naturale possibile (che poi è come avvengono le cose migliori) e quella che state leggendo oggi è nata proprio così, una meravigliosa sorpresa della scorsa domenica pomeriggio.
Come molti di voi sapranno, i social, oltre ad avere il pregio di unire le persone a distanza (e lo abbiamo ampiamente sperimentato i mesi scorsi) sono dei puntualissimi reminder di ricordi, eventi passati, anniversari. Quello fotografico che ho ritrovato qualche giorno fa su Instagram è stato un balsamo per l’animo, perché mi ha ricordato un evento grandissimo e soprattutto in cui suonare in mezzo a migliaia di persone era ancora sicuro e anzi adrenalinico: una mia foto durante le prove di Rockin1000 allo Stadio Franchi di Firenze, in compagnia di uno dei bassisti per eccellenza, Saturnino Celani.
Saturnino lo conosciamo tutti, senza sapere forse che è anche autore a fianco dei più noti artisti italiani (Jovanotti su tutti, con cui collabora da quasi 30 anni) ma anche polistrumentista, produttore, e compositore di alcuni album da solista strepitosi; il suo primo del 1995, “Testa di Basso”, personalmente è il mio preferito, un meltin’ pot di funk, jazz, fusion underground (ma poi a che servono queste etichette…?)
L’inizio dell’album è un piccolo dialogo live:
“Ciao Enrì” (si riferisce ad Enrico La Falce che l’ha missato) “Ciao Satu” –“Oh, stan già provando” –“Ah vabè, vado subito” (breve pausa, si sentono dei passi)… e parte il groove del basso accompagnato dalla batteria.
Uno dei brani della tracklist, “153 Battute”, è 2:38 min di virtuosismo e groove stilosissimo, oltre ad una grande tecnica che ha contraddistinto Satu fin da giovanissimo. L’album dà il nome anche all’autobiografia di Satu, uscita un paio d’anni fa : “Testa di basso: le meravigliose avventure du Saturnino Celani”. Vi suggerisco di leggerla perché scorrevole, divertente e molto stimolante. Saturnino ha incontrato e collaborato con moltissimi musicisti ma anche sportivi, cuochi e artisti e ne racconta gli aneddoti più interessanti. Molti si soffermano sui “progetti mainstream” ma c’è un mondo di avvenimenti, evoluzioni e progetti solisti che attraversano la sua musica.
Torniamo a noi, alla chiacchierata con questo uomo formidabile e molto versatile, e scoprirete perché proseguendo la lettura. Intanto mentre sono al pc a scrivere, Saturnino si trova a Milano in Piazza Duomo assieme a Manuel Agnelli, Lodo Guenzi, Diodato, Levante, Ghemon, e molti altri. Hanno organizzato un flash mob, con distanziamento e mascherine, per la Festa della Musica #senzamusica: nel silenzio che urla il bisogno di tenere accesa l’attenzione sulle condizioni dei lavoratori della musica e dello spettacolo. Dietro ad un Artista e ai suoi show ci sono centinaia di lavoratori, tecnici luci, fonici, backliner, stage manager, professionisti e operai di ogni specializzazione, e spesso con solo contratti a chiamata.
L’intervista inizia un po’ come l’intro di “Testa di basso”, estemporanea e soprattutto spontanea: alla mia domanda di farmi sapere quando sarebbe stato disponibile per fare due chiacchiere sul suo percorso e la sua musica lui risponde “Guarda se hai già pronte le domande la facciamo subito”. Io ovviamente non avevo pronta nessuna domanda ed ero in terrazza a prendere il sole ma di fronte a Satu che ti dice “la facciamo adesso al volo” tu la fai adesso al volo!
D. Vivi a Milano ma sei nato ad Ascoli Piceno e forse non tutti sanno che hai iniziato giovanissimo dallo studio del violino, per approdare al punk. Sei polistrumentista e, anche se hai un’impronta funk e jazz, negli anni hai molto sperimentato come compositore e solista. Com’era il clima musicale che si respirava nel periodo in cui hai iniziato a suonare coi primi gruppi nelle Marche? Come hai detto tu stesso il trasferimento a Milano è stato fondamentale…
R. A riprova di quello che hai detto esiste un libro di Carlo Cannella, “La città è quieta… Ombre parlano. Una storia punk (2015)”. A pagina 86 c’è questa frase: “…ma nemmeno stavolta i Dictatrista (gruppo punk rock/hardcore fondato da Cannella ad Ascoli nell’83, ndA) si arresero all’evidenza, Leonardo passò alla voce e un ragazzino di 16 anni lo sostituì al basso: quel ragazzino si chiamava Saturnino Celani, fu l’ultimo dei Dictatrista (nell’85) e oggi suona il basso nella band di Jovanotti”.
Io ho avuto il percorso di un ragazzino che cresce in una città di provincia, si ritrova in casa dei violini, ereditati; mio papà aveva studiato violino in collegio e quindi anch’io ho iniziato a studiare violino, iscrivendomi all’Istituto Musicale Gaspare Spontini di Ascoli Piceno. Nello stesso periodo si sono iscritte molte persone che hanno continuato il percorso musicale, e dieci anni dopo si è iscritto Dario Faini, Dardust. A 14 anni ho visto il gruppo dei ragazzi del mio quartiere che suonava le cover dei Rolling Stones e dei Van Halen e per me è stata una folgorazione, un colpo di fulmine.
D. Facendo un salto in avanti, dopo i tuoi esordi punk rock, e il tuo trasferimento a Milano, mi viene in mente Daniela è Felice, l’album di Mietta del 1995, dalle sonorità molto internazionali, con un mix di generi, dall’hip-hop all’rnb e un arrangiamento molto lungimirante, a cui tu hai partecipato in formazione col grande Marco Tamburini, Piero Odorici, Alberto Borsari, Lorenzo Sebastiani.
R. Il produttore in quel periodo era Michele Centonze per la Fonit Cetra e noi eravamo in zona studio perché registravamo sempre lì e così Michele mi chiese di suonare per l’album la cover di Bill Withers, Just The Two Of Us (Dentro l’anima) e io sono stato felicissimo di interpretarla, ne è uscita una versione particolare che Mietta ha cantato in italiano, a me piace. Tra l’altro è di nicchia, non credo sia su Spotify (andate a sentirla su YouTube che merita! ndA)
https://youtu.be/rrPUFtfLy6o
D. Sei conosciuto anche per la varietà di bassi che hai suonato, 4 corde, 6 corde, fretless e la maestria nel farlo. Qual è stato il tuo primo basso?
R. Il mio primo basso è stato un Eko, che ho regalato, poi ritrovato in vendita su Mercatino Musicale con la didascalia “Il primo basso di Saturnino!” ma era stato completamente rovinato e quindi l’ho riacquistato e fatto rigenerare dal mio liutaio e poi l’ho donato al Museo della Eko, in cui tuttora è esposto.
D. Sempre in quel 1995, annus mirabilis, esce Testa basso (alla tromba c’era sempre il grandissimo Marco Tamburini), il tuo primo album da solista che però non sembra per niente un “primo album”: sonorità incredibili, virtuosismi, fraseggi da musicista esperto, incalzanti melodicamente e ritmicamente e melodie morbide. Il basso poi è uno strumento-pilastro dell’armonia e della ritmica, dà il groove e quando in un pezzo manca si sente. Già allora era forte la tua cifra stilistica, che ha dato una grande impronta ai lavori discografici che hai registrato con tantissimi artisti in questi anni. Sono curiosa di sapere che strumentazione hai usato per quell’album e come l’hai registrato.
R. La caratteristica più importante di quell’album è che è stato interamente registrato nello studio di Luca Cersosimo ed Enrico La Falce, in Via Gustavo Modena. Infatti da lì è nata la prima traccia, “Problemi di parcheggio” perché era impossibile trovare un parcheggio in zona, quindi il titolo non era così concettuale! Per quel disco ho usato il mio Ken Smith bt custom elite a 6 corde che entrava direttamente nel banco passando da un compressore Drawmer valvolare. Anche gli altri strumenti sono stati registrati lì dentro, compresi cassa e rullante e charleston e anche la chitarra, una Telecaster, entrava direttamente nel banco. Tutto molto minimale e pulito: la sonorità non è fatta da altro che dagli elementi di base “in purezza”.
D. Nel 1999 conosci l’azienda di Lambrate Noah Guitars a cui chiedi di “smontare” il tuo Fender Precision del 1951 per costruire un nuovo basso, nasce poi il basso “Missing White”, fedele riproduzione di quello del 1999. Hai un basso in alluminio molto “scenografico” da vedere durante gli show !
R. Sì, sono diversi anni che collaboro con Noah Guitars, che è una vera eccellenza. Con loro ho finito anche un progetto che aveva iniziato il grandissimo Stefano Cerri (figlio del chitarrista Franco Cerri, Stefano è stato un bassista e chitarrista, e anche un session man per i più importanti artisti italiani, tra cui Fabrizio De Andrè, Demetrios Stratos, Eugenio Finardi, Fiorella Mannoia e molti altri, ndA) che ci ha lasciato tempo fa e poi con loro ho proseguito. Ho diversi strumenti loro e sono straordinari. In particolare ho un basso disegnato da Lorenzo Palmeri (che ha progettato anche la chitarra di Lou Reed, ndA) e l’altro da Fabio Novembre, il mitico NO-NO Bass, con controller meccanici posizionati negli “occhi” e manico nero in carbonio. Oltre che disegnati sono realizzati da loro, quindi suonano in modo incredibile.
D. Nella tua autobiografia Testa di Basso, uscita 20 anni dopo il tuo primo disco da solista e scritta assieme a Massimo Poggini, racconti attraverso aneddoti anche molto peculiari alcuni spaccati di vita artistica e musicale, gli incontri con Sting, Lou Reed, Franco Battiato, Luciano Pavarotti, Pino Daniele, Valentino Rossi, Gabriele Muccino, Renzo Rosso, Davide Oldani, Claudio Cecchetto e altri. Hai qualche hobby che non conosce nessuno? Ad esempio ho intervistato alcuni tuoi colleghi che sono anche ottimi cuochi forse perché il comune denominatore tra musica e cucina è la creatività che certo non ti manca…
R. Io invece non credo affatto di essere un ottimo cuoco, anzi! Di solito però trasformo tutte le mie passioni in qualcosa di molto approfondito: infatti amo gli occhiali e da otto anni ho messo in piedi una piccola azienda.
D. E’ vero i tuoi occhiali ormai sono diventati “iconici”, al di là dell’attività imprenditoriale, hanno un design che ricalca un po’ quello dei tuoi bassi: deciso, con delle forme particolari, avveniristiche, quasi “spaziali”, è come se attraverso gli occhiali fossi riuscito a rendere “tangibile” la tua grinta e quella dei tuoi strumenti. Hai anche creato una Planet Collection con i nomi dei pianeti…
R. E’ vero! E pensa che Saturno invece di essere Saturn l’ho chiamato “Satu”, che in indonesiano è il numero 1 !
D. A proposito di attività parallele, so che nel 2015 hai scritto il nuovo inno del Milan, intitolato “#rossoneri”: sei un tifoso di calcio? Tra l’altro in questi anni hai suonato molte volte negli stadi davanti a migliaia di persone.
R. Il pezzo per il Milan è nato dal fatto che Fabio Novembre, l’amico e designer di cui ti parlavo prima mi ha invitato una sera di qualche anno fa ad una cena in cui era presente anche Barbara Berlusconi, perché lui all’epoca stava anche progettando Casa Milan (la nuova sede del AC Milan dal 2014, un palazzo di vetro di novemila metri quadrati, ndA). Lei voleva fare un nuovo pezzo celebrativo per i 30 anni dal primo inno ed è nato così. Io non sono un tifoso, mi sono occupato della parte musicale ma Emis Killa, che ha scritto le parole è un tifoso milanista sfegatato, oltre ad essere una grande persona e un grande artista.
D. C’è un disco o una lettura che hai fatto recentemente, durante il periodo “sospeso” dei mesi scorsi che ti ha colpito o ispirato anche per nuovi progetti o personalmente?
R. Sai che ne ho approfittato per riascoltare i “grandi classici”? Tra l’altro la prima volta che ho suonato di nuovo con qualcuno dopo gli scorsi è stata mesi con Stef Burns (eccezionale chitarrista californiano che, oltre ad aver suonato negli USA con artisti di fama mondiale e a seguire propri progetti, da anni è chitarrista di Vasco Rossi, ndA), mi è capitato di studiare “Black Dog” dei Led Zeppelin per poi suonarlo insieme. E’ stata una gran figata!
D. Vorrei salutarti con una domanda sul tuo stato d’animo riguardo alla situazione attuale: la musica live e gli spettacoli stanno lentamente ricominciando ma ovviamente il futuro è ancora incerto…
R. Devo dire che avuto la fortuna di arrivare a 50 anni e non mi posso lamentare di nulla. Ovviamente resto in attesa che tutto ricominci, sperando il prima possibile ma comunque non ho mai fatto programmi a lunga scadenza, continuo a “navigare a vista”.
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