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Attualità

La magia della musica spazza via la paura. Storia di una serata come tante ma unica al Bravo Caffè

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Premessa: i catastrofisti, pessimisti, complottisti, i cercatori di assembramenti e di mascherine che non coprono la punta del naso possono scorrere su ed evitare di leggere, non ci saranno argomenti interessanti per loro in questo racconto.

E aspiette che chiove
l’acqua te ‘nfonne e va
tanto l’aria s’adda cagna’

La voce è quella suadente di Serena  Zaniboni, senza microfono, la chitarra appena accennata di Aldo Betto emette le ultime note di una serata per certi versi “storica” della quale rimarrà impresso un po’ tutto.

E’ finito così, con Pino Daniele che, in “Quanno chiove”, il lockdown sembra averlo vissuto assieme a noi, il primo venerdì post chiusura di musica dal vivo del Bravo Caffè di Bologna, uno dei templi del live in Italia, uno degli approdi sicuri, sicurissimi per chi ama e fa musica in Emilia Romagna ma non solo. Sentire Max Cattoli, storico gestore del Bravo, subito dopo aver spaccato una sedia del suo locale all’annuncio della chiusura dei pubblici esercizi ad inizio marzo e rivederlo ieri, rigorosamente in mascherina, fischiare ed applaudire Aldo Betto e accogliere gli sparuti (giocoforza) ospiti della serata, è una delle metamorfosi che potrebbe meglio fotografare la voglia di rinascita di questi giorni strani e carichi di speranza.

Non è stata una serata tutta rose e fiori, sia chiaro. Cammini per strada, quella strada che hai fatto centinaia di volte, da Piazza 8 Agosto a via Mascarella, passando per Via delle Moline, la strada che, in condizioni normali, è il ritratto perfetto di quella che, in loco, fino a dieci giorni fa, nessuno si sarebbe permesso di chiamare “movida” per evitare ritorsioni verbali inconsulte dei protagonisti. Della folla, che ha suscitato indignazione in ogni angolo dello Stivale nei giorni scorsi, nemmeno l’ombra. I bar o i ristoranti con tavolini all’aperto, nonostante il clima non lontano da quello di febbraio, sono discretamente affollati, tra mascherine e distanziamento rigoroso. L’unico assembramento è fuori da un take away ma sono tutti più o meno in silenzio ad aspettare il turno, come fuori da un supermercato due mesi fa. Le grida, gli strepiti, gli odori della pizza da asporto, consumata rigorosamente a bordo strada o in “poltrone” ricavate dal marmo, i rumori del cartone che la contiene che si accartoccia, tutte scene viste mille volte: sparite, dissolte, inghiottite dal virus.

Il Bravo Caffè, per fortuna, c’è ancora, addirittura con un po’ di dehors per convincere anche quelli che temono il contagio nell’ambiente chiuso. A sorpresa, Aldo Betto, chitarrista sopraffino, originario di Vittorio Veneto ma bolognese di adozione, eclettico, amante del funk (strepitoso il progetto dei Savana Funk) ma capace di passare dai Rage Against the Machine (per cui confessa un debole e il rammarico per l’annullamento del tour italiano) a una versione sofisticata e suggestiva di “Odio l’estate” di Bruno Martino, ha già iniziato il suo live show.

Già perchè chiamarlo concerto non si può, anzi bisognerebbe chiamarlo “accompagnamento musicale” nell’enorme bluff verbale a cui ci siamo auto-costretti in questo periodo. Per noi, per i 34 “coraggiosi” presenti nel locale è un concerto a tutti gli effetti, anzi è “IL” CONCERTO e anche per Aldo Betto che, tagliati i capelli anche lui (che fa della chioma folta un marchio di fabbrica), ha il sorriso stampato sul volto, quel sorriso che caratterizza solo chi sta facendo la cosa che ama fare di più al mondo.

E lui, candidamente, lo confessa pubblicamente. “Credo di essere uno dei pochi musicisti che in questo momento ha il privilegio di suonare live davanti ad un pubblico. Grazie!” E via tra un “settantissimo” Santo & Johnny, un blues anni ’30, un suadente “Quizás, Quizás, Quizás“, origini cubane ma ripreso da Bing Crosby e Nat King Cole, tra gli anni ’50 e i ’60, e il beegeesiano “How deep is your love”, per farci tornare da dove eravamo partiti, negli anni ’70. E il virus? Se mai fosse passato da lì, baldanzoso, si sarebbe guardato un po’ intorno e avrebbe capito che non era il momento e neanche il luogo, che forse è arrivato il momento di uscire piano piano dalle nostre menti ancor prima che dai nostri corpi.

Saluti, con il gomito, baci, con le mani a distanza, Max snocciola le prossime date, pensa a settembre, il virus non gli è costato solo la sedia spaccata ad inizio marzo, simbolo di un mondo, quello della musica di nicchia, che dà da mangiare a tanta gente in Italia e che deve essere preso per mano da chi il paese lo guida, evitando, se possibile, piagnistei e lamentele reiterate ma pensando, come Max, a rimboccarsi le maniche e a proporre e fare. 

Via delle Moline è più viva alle 23.30: gruppi di ragazzi, le mascherine sono meno ma per bere una birra (forse più di una) bisogna pure toglierle. Biciclette che sfrecciano, come sempre “‘Ndo cazzo vai!” grida una a piedi contro una ciclista un po’ spericolata che risponde “Guarda che sono sulla ciclabile”. “Vai a nanna che ti aspettano”. No, non siamo cambiati… Per fortuna!