Mei/Indipendenti
Mei, Rubrica. MUSICA IN GIALLO di Roberta Giallo. “Traversate”: l’esordio antico e contemporaneo di Alberto Marchetti
Di Roberta Giallo
“TRAVERSATE”: L’ESORDIO ANTICO E CONTEMPORANEO DI ALBERTO MARCHETTI, CHE ATTRAVERSANDO QUESTO TEMPO CI RICORDA DELL’ETERNITA’
Non so se a voi capita, ma capita a me.
Mi capita di ascoltare una canzone e provare delle sensazioni molto simili a quelle provate leggendo alcuni passi di un romanzo.
Difficile a spiegarsi, forse più facile ad intuirsi.
Quando ho ascoltato per la prima volta “Traversate”, ho provato una sensazione molto vicina a quella provata mentre leggevo “Cent’anni di Solitudine” di Gabriel Garcìa Màrquez, uno dei romanzi imprenscindibili della contemporaneità _ e anche uno dei miei preferiti_: un romanzo “collettivo”, che affonda le sue radici in miti inventati, oppure richiamando alla memoria miti “sepolti”, archetipici, di cui il ricordo mutato riesce a risvegliare, fondendosi con realtà soprannaturali e magiche (o iper-oniriche), il respiro dell’Eternità; quel respiro potentissimo che si “tira” da un piccolo spiraglio, mentre si è abitanti del tempo mutevole, del tempo transeunte, tempo di ingiustizie, di schiavitù, ma ad ogni modo di speranze e di passioni, quest’ultime motori di quelle speranze.
Ecco, la canzone “Traversate” di Alberto Marchetti, al suo esordio di pubblicazione con Onda Music (e tutto sembra perfettamente in tema, mare, onde, traversate…), è una canzone che attraversando questo tempo, perché io ci sento dell’attualità vibrante dentro, ci ricorda dell’eternità. In virtù di un linguaggio, scelto, calibrato, ispirato, costruito, direi slanciato verso la poeticità, ci restituisce l’accesso a quel piano “semi-visibile” o semi-invisibile, a cui ci porta la nostra capacità immaginifica, collegata a quella del “Sentimento”.
Dunque: sentimento e visione attraverso le parole, e poi l’incontro “magico-alchemico” con la musica, con un arrangiamento pesato, calibrato nel dettaglio. Questo giunge all’orecchio, e a poco a poco sprofonda per farsi spazio nell’anima, ascolto dopo ascolto.
Posto che abbia tentato di descrivere la qualità della mia suggestione, più o meno riuscendoci, ma _del resto_ quando si deve parlare dell’invisibile, o di ciò che può prendere forma di visione attraverso delle parole combinate a delle note, l’operazione è sempre “parzialmente chiara”, io dico che questa canzone porta con sé la forza di uno spirito della collettività. Una collettività professata come fede e valore, sia da Alberto che dai suoi sensibili compagni di viaggio: a partire da Alberto Menenti (anche lui si chiama Alberto), direttore artistico del progetto, di cui ho nitido e vivido il ricordo della sua aura professionale, votata al vivere e al realizzare progetti-di-vita, fino ad arrivare a tutti coloro che hanno messo mano, come musicisti, a questo pezzo, forgiato con misura e sentimento. E parlo di “vita” come parlerei di “arte”, qualità superiori che vanno oltre la sopravvivenza, proprio quella che _ahimè_ stiamo sperimentando in questi giorni…
Detto ciò, vi lascio alle risposte (precedute dalle mie domande), di colui che pensavo fosse “solo” un fotografo, e invece ho scoperto essere un cantautore contemporaneo che ama avere a che fare con l’Eternità.
Ti ho conosciuto come fotografo, ignoravo fossi un “cantautore”. E non uso la parola a caso, perché quello che percepisco dal tuo brano che anticipa l’album in uscita a maggio, è che tu abbia proprio la “forma mentis”, anzi la “forma animi” del cantautore classico. Da quanto “lo sei”, o meglio, quand’è che hai pensato di fare un album… (oppure sei già al 3^ e mi sono persa qualcosa…)?
“Mi interesso di musica da sempre, è una passione che ho sempre curato. Ho sempre scritto molto, racconti di fantasia e rime più o meno ignobili. Mi ha sempre affascinato la figura del cantastorie ancora popolare nelle mie zone almeno fino a fine anni ottanta, questa capacità di condensare in pochi minuti un vero e proprio romanzo a volte anche molto complesso, quasi sempre, poi, una tragedia. Nel mio paese c’erano alcuni anziani capaci di cantare buona parte dell’Orlando Furioso, Remo per esempio conosceva e cantava tutta “Pia de Tolomei”, un poema in ottava rima di oltre cinquanta strofe, e nelle sere d’estate, tra un bicchiere di vino e l’altro, all’epoca gestivo un bar, lo spingevo all’esibizione. Un altro, Pietro, era capace di scrivere canzoni su ogni fatto di cronaca locale, con umorismo e arguzia. Quelle esibizioni, ahimè, sono finite nella mia valle proprio con la scomparsa di quegli ultimi poeti a braccio. Ho cominciato a musicare alcuni testi che mi sembrava avessero più senso, poi ho messo da parte queste composizioni, non era mia intenzione pubblicarle. Nel tempo mi sono affinato, ma restava un gioco intellettuale che riguardava solo me. Questo fino al 2010 quando Andrea Romano, un imprenditore di Brescia che si dilettava al canto non mi ha chiamato a registrare un EP con la sua neonata etichetta, la Penthar Music. Quell’Ep uscì nel 2011 senza destare molto interesse. Io sono tornato alle mie occupazioni, la cura dei giardini e la scrittura legata alla musica. Questo fino a quando Alberto Menenti per gioco e curiosità ha ascoltato alcune mie canzoni. Lui è l’artefice di questo capitolo che altrimenti avrebbe continuato a giacere in fondo al cassetto dei desideri irrealizzati. Un uomo sorprendente Menenti, uno dei giusti del mondo della musica”.
Canzone e videoclip hanno un respiro artistico, un equilibrio che si fa suggestivo, il tuo amore per l’immagine non è stato trascurato: com’è nata l’idea?
“Non volevamo un video didascalico, e nemmeno un semplice reportage fotografico. Il brano è duro e le immagini dovevano mostrare questo dolore in viaggio, la lacerazione e lo sradicamento. Quando Beppe Stasi ci ha mostrato le sue opere così potenti abbiamo capito che era l’artista giusto”.
Cosa hai voluto raccontare con questo album (in arrivo a maggio), è frutto di un’intenzione a monte (un concept album) o semplicemente una raccolta di ciò che hai scritto più o meno recentemente? Sono canzoni che hai scritto negli ultimi mesi, o negli ultimi anni?
“L’album è frutto di un’idea perseguita con costanza e studio. Il mare è nell’immaginario collettivo, come spazio dell’ignoto e dell’avventura, come elemento che rivela la tempra e il coraggio, è il mondo altro che intimorisce e affascina, è simbolo dell’imprevisto coi mostri invisibili e sempre a un passo, è la perigliosa navigatio vitae di Kant e la sua gioiosa negazione. Ma non volevo riprendere i miti già abbondantemente sviscerati da tanti, le usurate avventure di Ulisse, Moby Dick, capitano Nemo, Giona, e poi ancora i pirati e i tesori nascosti. Lì avevano già detto tutto. Ho trovato nuove visioni in alcune sorprendenti raccolte spagnole di romancero del ‘500, in artisti greci poco conosciuti in Italia come Il marinaio poeta Nikos Kavvadias e il viaggiatore giornalista Uranis, nell’incubo desiderio di un vecchio pescatore delle Cinque Terre beccato a sistemare le reti in un afoso pomeriggio estivo, e così via. Dentro c’è quindi la sorpresa, il viaggio, la ricerca, l’amicizia, l’amore, la sofferenza, la morte e la rinascita”.
Leggo “invischiati” nella produzione i nomi di alcuni musicisti che stimo e conosco. Come li hai scelti, come vi siete trovati?
“Gli artisti presenti, quasi tutti amici, sono stati cercati, scelti, coinvolti proprio per intervenire su quei precisi brani. Non smetterò mai di ringraziare Lucilla Galeazzi, Michele Gazich, Thierry Valentini, Alessandro d’Alessandro per il tocco magico, superiore, che hanno saputo dare alle cose. Né posso dimenticare la capacità sensibile ed esperta del duo Ciuffi/Petretti di trasformare in note cangianti il confuso e continuo flusso di idee. E ci sono altre sorprese nell’album perché hanno contribuito anche le geniali invenzioni di Marcello Stefanelli, cantautore con doti esagerate, e Gabriele Santucci, due grandi artisti di mare, liguri di Savona, che in questo periodo di mestizia hanno pensato e realizzato il Quarantena Tour ogni sabato in diretta sui social”.
E dopo questo viaggio ulteriore nelle motivazioni del cantautore, riporto le parole di Daniele Sidionio, che su youtube chiosano le note e i credits al videoclip di Traversate.
“La radice ci permette di tracciare il nostro passaggio e di tornare sui nostri passi, sulle nostre tracce, quando la vita lo richiede. La radice è una connessione che cresce al contrario e ci pianta a terra, è una connessione nascosta e protetta, e così resta anche dopo di noi. Traversate è una canzone radicale: riordina tutte le piccole cose di cui è fatta una radice, che gli spaesati si portano appresso nel cammino. Durante il viaggio in cui lo sguardo si perde fra speranza e sabbia, fra salsedine e sole, una sola radice basta, così come basta una sola narice per respirare. Il pensiero di quella radice, che è portabile perché è eterna e non si consuma, basta a traversare, a cambiare meta e passare da un luogo all’altro. La radice è l’unico appiglio che ci permette di ri-conoscerci uomini, come la corteccia per gli alberi. A negarne l’importanza, si smarrisce l’umano. A perderla, c’è bisogno di chiedere aiuto per ritrovarla, o raccontarla a chi si incontra alla fine della traversata.”
In attesa dell’album “La Musica dell’Onda” (l’uscita è prevista per metà maggio), faccio il mio duplice in bocca al lupo ad Alberto Marchetti e all’Etichetta “Ondamusic” che ha creduto nelle visioni di questo marinaio/viaggiatore contemporaneo, non senza radici, ma rivolto con lo sguardo all’Eterno Movimento delle onde del Mare…
Leggi QUI l’articolo originale sul sito del MEI – Meeting delle Etichette Indipendenti.
Laureata in Scienze Filosofiche, Roberta Giallo è cantautrice, autrice, performer, pittrice etc. Si definisce un “ufo” o “un’aliena perennemente in viaggio”. Ha già scritto di musica per Vinile e All music Italia. Musica in Giallo è la sua prima rubrica musicale per MeiWeb e OaPlus.
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