Interviste
DiLeo ci parla di come diventare “Circensi” alla ricerca dell’equilibrio perfetto
DiLeo, al secolo Carmine Di Leo, mette a fuoco le fotografie musicali del suo secondo lavoro discografico, svelando se stesso. L’intervista per OA plus.
È uscito venerdì 28 febbraio “Circensi“, il nuovo album di DiLeo, cantautore campano alla sua seconda fatica discografica. “Circensi” si muove in un mondo acustico e d’atmosfera, dove tra le chitarre e il pianoforte emerge prepotente il sassofono di Bruno Tomasello.
Da “Appesi a un filo” alle evoluzioni di “Pelle”, passando per l’elettronica di “Immobili”, l’album scorre tra aperture sonore ai limiti del folk sperimentale d’oltreoceano, ritmiche nervose e ossessive, sezioni di fiati che si inseguono e rincorrono tra echi e reverberi fino a ritornare ai minimalismi pianistici sfocati e sfuggenti, focus di brani come “Isole” o “Sete”.
Abbiamo parlato con DiLeo del suo nuovo disco e di cosa significhi scrivere, oggi, una canzone, attraversando i ricordi.
INTERVISTA A DILEO
Il tuo secondo lavoro in studio è il primo full lenght, dopo l’Ep dell’esordio “La nuova stagione”. Che tipo di lavoro c’è stato dietro “Circensi”, per arrivare a scrivere le sette tracce dell’album?
Quando scrivo dei brani accade spesso di farlo per urgenze puntuali, mi capita dopo di riguardare a una serie di idee e inquadrarle come pezzi di uno stesso racconto e solo a quel punto decido di metterli insieme, come in una sorta di album di foto di un certo periodo. Ovviamente lì nasce il discorso di provare a dar loro un’identità coerente, fortunatamente è una fase che stavolta non ho dovuto affrontare da solo ed è stato doppiamente stimolante lavorarci con amici e artisti che stimo molto.
Il disco condivide il titolo con la seconda traccia: “Circensi”. Cosa volevi comunicare con questa scelta e cosa significa secondo te “essere circensi eccezionali”?
La scelta è dovuta al fatto che in quel brano ho visto un buon “manifesto”, una sorta di abstract abbastanza indicativo dell’intero discorso. Quella frase poi ha un senso molto preciso per me, in quanto credo che siamo un po’ tutti equilibristi “di noi stessi”, sempre in bilico tra ciò che siamo stati e ciò che stiamo diventando, sempre alla ricerca dell’equilibrio perfetto che giustifichi le nostre scelte.
Il disco attraversa il concetto di “ricordo”. Cosa significa per te ricordare e scrivere canzoni su questi ricordi?
Più che scrivere sui ricordi in senso stretto ho voluto raccontare di come ho percepito l’effetto del tempo sugli stessi. Soprattutto mentre scrivevo “Circensi” mi sono reso conto che stavo raccontando di qualcosa accaduto molto tempo prima e che al tempo non avevo vissuto affatto bene. Ho capito di come la mia percezione in merito fosse cambiata e si fosse in qualche modo “rilassata”, come se avessi fatto pace con quel pezzo della mia vita. È quello che io chiamo riuscire a perdonare e perdonarsi, mi ha fatto stare bene e per questo ne ho voluto parlare.
Il vestito acustico si presta magistralmente alla natura intima e nostalgica dei brani. Sono le atmosfere acustiche che suggeriscono le parole, o ricerchi nei suoni le sensazioni che hai impresso su carta?
Credo che le due cose si inseguano in un certo senso. Di solito mi capita di scrivere i brani al piano o alla chitarra acustica cercando di dar loro una buona completezza strutturale, il resto del mondo sonoro che li veste prende forma da se in base ai suggerimenti provenienti dalle immagini di cui racconto. Da questo punto di vista in questo lavoro ho cercato di usare tutto ciò che fosse acustico in maniera quasi “elettronica”, una sorta di gioco di equilibrio tra i vari elementi affinché trovassero il loro ambiente nello spazio sonoro a disposizione.
Come pensi si possa affrontare il presente, senza soccombere alla nostalgia e alla malinconia?
Questo è un aspetto molto personale di ognuno di noi, credo sia fortemente legato alla propria attitudine e a una certa dose di “nostalgia intrinseca”. E credo anche non esista metodo per dosarla, entra direttamente a far parte del puzzle di pezzi che nell’insieme compone la nostra sensibilità, concetto che meglio di tutti ci descrive e ci identifica.
Una influenza che sembra sentirsi è quella di Jeff Buckley. Sbaglio? Cosa ti ha ispirato per questo lavoro?
Non so se sbagli o meno, nel senso che rispetto sempre le percezioni e le deduzioni di chi ascolta. Di certo ti posso dire che i Buckley sono tra gli ascolti a cui sono più affezionato e che mi hanno accompagnato per anni e credo sia inevitabile che ciò di cui ci nutriamo finisca in qualche modo, anche in minima traccia, in ciò che raccontiamo quando usiamo lo stesso mezzo di espressione, in questo caso la musica. Eppure ti dico che in questo lavoro credo che il cinema abbia avuto un peso rilevante, maggiore di altri “ascolti”, soprattutto alcune pellicole che ho amato negli ultimi due anni. Ho cercato di scrivere per immagini in un certo senso, è proprio di quelle che ho avuto esigenza di nutrirmi il più possibile per sviluppare un’estetica musicale calzante.
Ora che l’album è uscito, cosa pensi debba arrivare all’ascoltatore? E cosa succederà nei prossimi mesi a Dileo?
Un album è un te che arriva prima di te e su ciò che debba raggiungere chi lo ascolta non so risponderti, soprattutto in termini emotivi. In fondo la musica è un gioco fatto di due parti, a me toccava il raccogliere e organizzare le mie “foto”, cercando di metterle a fuoco il più possibile. Per i prossimi mesi comincerò a breve con dei live indoor di presentazione con Bruno Tomasello (polistrumentista da sempre nei miei live e anche coproduttore del disco) almeno fino a giugno, poi ci saranno altre novità. In ogni caso vi terrò sempre aggiornati sui miei social, a prestissimo!
Crediti Foto: Claudia Del Fiacco
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