Food
Rubrica, Food. DENTRO LA CUCINA di Stefano Vegliani. Ritrovare i sapori della cucina italiana a New York? Da Osteria 57 si può. Intervista allo chef Riccardo Orfino
Di Stefano Vegliani
Oggi New York rappresenta una città all’avanguardia dal punto di vista gastronomico, dove si possono assaggiare le cucine del mondo in forma originale. E così ti imbatti in un ristorante italiano che sceglieresti anche se fosse a Roma o a Milano…
Si può girare il mondo e dimenticare la cucina italiana? Il viaggiator curioso dovrebbe farsi vanto di quante più prelibatezze esotiche riesce ad assaggiare: i Dim Sum in Cina, il Curry in India, il Pad Thay in Thailandia, la carne in Argentina, lo Shabushabu in Giappone, il Cus Cus in Marocco. Ma è un diritto viaggiare anche per chi ovunque nel mondo spera di poter mangiare come a casa. D’altronde se la cucina italiana è la più imitata nel mondo ci sarà una ragione. Comunque anche chi non può fare a meno di un piatto di pasta nell’Africa più profonda sa che la delusione è sempre in agguato.
Ricordo il mio primo viaggio in Nuova Zelanda nel 1992 quando conobbi una famiglia italiana che aveva un ristorante, quando mi invitarono a cena mi avvisarono subito che la pasta non sarebbe stata come in Italia e che avrebbero fatto di tutto perché fosse almeno al dente. Tornai da quel viaggio agli antipodi pensando che mangiare peggio fosse difficile. Oggi anche a Auckland si mangia molto bene, hanno imparato a usare le fantastiche materie prime di cui dispongono, ed esiste pure Master Chef NZ.
La cucina italo americana per esempio ha una storia, con ricette che sono nate sul posto come spaghetti meatball o le famose fettuccine Alfredo. Gli Stati Uniti sono grandi ed è difficile generalizzare, New York rappresenta un caso unico: oggi è senza ombra di dubbio una città all’avanguardia dal punto di vista gastronomico. Si possono assaggiare le cucine del mondo in forma originale. E così ti imbatti in un ristorante italiano che sceglieresti anche se fosse a Roma o a Milano.
Osteria 57 è il regno di Riccardo Orfino, veneto, 33 anni, Executive Chef e partner di Emanuele Nigro, che lo ha voluto al suo fianco quando il locale già aperto da un po’ faticava a trovare una sua identità. A poco meno di un anno dall’inizio della collaborazione il successo è evidente e in pentola bollono già nuovi progetti.
Orfino, cresciuto alla corte del Luogo di Aimo e Nadia a Milano, ha pescato il jolly del trasferimento a New York grazie a Eataly che lo ha scelto per l’apertura del ristorante nella nuova struttura al World Trade Center, da li si è sposato a la Pecora Bianca a Flatiron come executive sous chef venendo a contatto con la realtà della gestione di un locale che fa numeri molto importanti, dove il business plan è fondamentale. Mentre rifletteva sul sogno di un locale tutto suo ecco l’incontro con Emanuele Nigro, proprietario di Osteria 57.
Il successo di Osteria 57 da quando in cucina è arrivato Orfino è stato graduale, ma netto. La fortuna è soprattutto nella formula di un ristorante che non ha carne nel menù, un’impostazione che ha fatto immediatamente tendenza. E poi c’è la mano fortunata di Riccardo unita alla forsennata ricerca di ingredienti di qualità, come il pesce: che arriva da una cooperativa di pescatori di Montauk.
Nel 2019 Riccardo Orfino ha vinto un contest sulla pasta tra gli chef italiani di New York con lo spaghetto Cashew/Kombu (condito con un pesto di alga kombu e anacardi con briciole di pane): il gusto è veramente unico.
L’INTERVISTA
Com’è fare lo chef a New York?
In fondo è come farlo in qualunque altra parte del mondo: devi far funzionare un team, una squadra. Qui ti scontri con una concorrenza esagerata e devi lavorate con una brigata multietnica e quest’ultimo aspetto è un grande valore aggiunto. Doversi confrontare quotidianamente con diverse culture è molto affascinante. Una grande sfida. Devi insegnare qual è il nuovo gusto italiano che qui sta finalmente prendendo piede.
E’ difficile trovare ingredienti di qualità?
Assolutamente no, si trova di tutto, arrivano materie prime fresche da tutto il mondo e poi ci sono i Farmer Market, almeno una volta alla settimana vado a Union Square, anche solo per curiosare, li è il trionfo della stagionalità. Tanti giovani hanno lasciato la città per tornare a coltivare la terra rimanendo nello stato e si propongono soprattutto ai ristoranti. Anche sulla scelta del pesce cerchiamo sempre la sostenibilità.
Nei ristoranti di New York non manca mai la musica, come mai?
Perché andare al ristorante per gli abitanti di New York è intrattenimento, il sottofondo musicale non può mancare. C’è chi lo fa cosi, senza una logica, trasmettendo delle playlist prese da Spotify belle e pronte, noi abbiamo fatto una scelta diversa, perché vogliamo che una cena da Osteria sia un “experience”. Così Emanuele ha chiesto aiuto a un suo amico, Wael Derek (waeldeek.com) che ha un passato da Dj e producer: le nostre play list sono esclusive, a volte contengono brani che non sono ancora usciti. Spaziamo dalla lounge music, all’acid jazz, sconfiniamo anche nell’house music. Dipende dall’orario naturalmente: non puoi trasmettere lo stesso genere alle 7 e alle 22. C’è uno studio per cambiare il ritmo e lo stile. Io non ci credevo, ma mi sono dovuto ricredere: scegliendo la musica adatta al momento giusto, aumentando un po’ il ritmo a una certa ora, quando i clienti sono a fine pasto, succede che molti ordinino un altro drink. Ecco un’altra cosa che ho imparato qui a New York.
Niente musica italiana?
Assolutamente no, perché la musica aiuta a creare un buon feeling anche per chi lavora. Come si dice qui crea un buon “vibe” per i ragazzi in sala che si divertono si sentono partecipi; pensa che noia se passasse Volare dieci volte. Siamo un team giovane per un pubblico giovane. L’Italia l’abbiamo nei piatti.
Cosa ti manca dell’Italia?
I panorami e un po’ di tranquillità. Qui bisogna sempre andare al massimo, ma non tornerei indietro.
Stefano Vegliani è stato per 29 anni la voce e il volto degli sport Olimpici per la redazione sportiva di Mediaset e Premium Sport. Ha inseguito Tomba su tutte le piste del mondo per due lustri, ha raccontato la carriera di Federica Pellegrini dalla prima medaglia olimpica nel 2004 allo strepitoso oro mondiale di Budapest. Ha puntato su Gregorio Paltrinieri quando in redazione lo guardavano con aria interrogativa, e non ha mai dimenticato l’iniziale passione per la Vela spiegando la Coppa America da Azzurra a Luna Rossa, e rincorrendo Soldini in giro per il mondo. Vegliani, giovane pensionato da settembre del 2017, ha “partecipato” come inviato a 16 Olimpiadi, l’ultima a Pyeongchang in Corea, impegnato con la squadra di Eurosport. Collabora a Il Foglio Sportivo e al sito www.oasport.it. Maratoneta sotto le quattro ore. Come molti e illustri inviati sportivi ha la passione per il buon cibo. Dopo aver inseguito Tomba assieme a Paolo Marchi collabora con Identità Golose dalla primissima edizione. Inizia oggi la sua collaborazione con il portale online di intrattenimento OaPlus, per il quale curerà ogni settimana una rubrica dedicata all’alta cucina.
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