Musica
Sanremo 2020. I 6 rapper del Festival: presentazioni e pagelle
Per Sanremo 2020 Amadeus ha selezionato ben 6 rapper: da Achille Lauro a Elettra Lamborghini. Scopriamo se sono nel posto giusto
Sanremo non è un posto da rapper. Il festival nazionalpopolare per eccellenza si conferma poco ospitale verso chi – per vocazione – porta con sé linguaggi e modi della gioventù cresciuta fra YouTube e strada. Fra basi che un rapper normalmente non proporrebbe al suo pubblico nemmeno sotto tortura e testi così edulcorati da far sembrare Vasco Rossi punk, questa edizione per chi ama il rap/trap è stato un supplizio.
FASMA | PER SENTIRMI VIVO
Partiamo da Fasma, il ragazzo prodigio che ha tentato di portare il Lil Peep più potabile in Italia, con ottimi risultati fra l’altro. Il pezzo presentato a Sanremo è un emotrap di discreta fattura, senza infamia e senza lode. Testo che narra di un amore complicato fra adolescenti, edulcorato fino ad essere pressoché indistinguibile da una canzone d’amore standard di Sanremo, mantiene giusto un accenno al topos del flexare tipico della Trap, senza però svilupparlo. Fasma ha fatto il massimo possibile per mediare fra il suo stile e quello che potrebbero capire e apprezzare un pubblico di over 50. Onore al merito e all’intelligenza, ma rispetto a quanto fatto vedere nel suo album d’esordio questo brano è veramente da 6 politico.
ELETTRA LAMBORGHINI | MUSICA (E IL RESTO SCOMPARE)
Proseguiamo con la regina della raggaetton trap: Elettra Lamborghini. Un Sanremo disastroso per lei, che senza autotune si rivela per ciò che è: una cantante peggio che mediocre. Intonazione zero, capacità interpretativa di brani altrui sotto zero, ma questo noi seguaci della golden girl lo sapevamo già. A noi Elettra piace perché ostenta con ironia il cognome ingombrante, twerka felice e sensuale in video al limite del soft porno e inanella canzoni ignorantissime con fare disinvolto. Lei è la perfetta rappresentazione della giovane del 2020: grezza, sensuale, libera, esibizionista, fieramente senza qualità particolari che ne giustifichino l’esistenza. La canzone presentata al Festival è di una mediocrità rassicurante: niente riferimenti sessuali espliciti, niente twerking, niente raggaetton pompato e latino trap in dosi omeopatiche. Una canzone da 3 senza ripensamenti, da 0 se teniamo conto della qualità live e del pietosissimo duetto con Myss Keta.
JUNIOR CALLY | NO GRAZIE
Flagellato dalle polemiche sui suoi esordi horror (t)rap, il trapper romano si presenta a Sanremo con una canzone dalla base rap che ricorda i vecchissimi Articolo 31, con inserti rock stradatati per tutti tranne che per il target di Sanremo. Un brano conscious rap di discreta fattura, che prende di mira i populismi di destra e sinistra contemporanei, l’ipocrisia dell’elettore medio, le star rap/trap tricolori che si edulcorano mano a mano che salgono gli zeri nel conto in banca. Dato l’andazzo generale un brano da 7 quello di Junior Cally, nel contempo coraggioso e paraculo, fatto per piacere a tutti ma soprattutto a chi per età anagrafica compra ancora dischi.
RANCORE | EDEN
Rancore su base di Dardust sulla carta significa capolavoro assicurato… anche se non si arriva a tanto, qui si è sicuramente sull’eccellenza. Rancore è molto più di un rapper: è l’ultimo grande cantautore in senso classico. Il fatto che aggiorni una gloriosa tradizione tricolore rappando invece che cantando, e che scelga basi preregistrate invece della chitarra o del piano per accompagnarsi, è semplicemente il suo essere figlio del proprio tempo… e questo lo interpreta a meraviglia fin dagli esordi. Un brano che mischia riferimenti classici e postmoderni, un viaggio fra storia e intimità, un gioiello che a nostro avviso è sprecato per Sanremo. 9 a mani basse, ma del resto tutta la carriera del rapper del Tufello si è sempre assestata sull’eccellenza.
ANASTASIO | ROSSO DI RABBIA
Anastasio presenta un brano dalla base così nostalgica da catapultare l’ascoltatore all’alba dei ’90. Sono passati 30 anni da allora, ma il rap rock sembra essere un genere ancora fresco per gli ascoltatori di Sanremo. Per noi – grazie a Dio – no. Il testo è altrettanto interlocutorio: ci riporta indietro rispetto a quanto già fatto e detto dal rapper sorrentino. Il suo brano dal populismo post ideologico in rima potrà piacere agli attempati fedelissimi dell’Ariston, a noi sembra solo vecchio nel linguaggio quanto nell’attitudine. Intendiamoci, il brano e il ragazzo non sono pessimi, solamente il tentativo di mediare fra la propria cifra stilistica e Sanremo non è riuscito. Gli diamo un 5 abbondante, perché il ragazzo ha i numeri, solo non sono numeri che possono brillare all’Ariston (o a X Factor).
ACHILLE LAURO | ME NE FREGO
Concludiamo con il vincitore mediatico assoluto della kermesse. Achille Lauro ormai di rap/trap ha molto poco: basi pop rock anni ’90 à la Vasco, citazionismo ostentato nei confronti delle vecchie icone pop rock anni 70-80 (Renato Zero, David Bowie, ecc ecc), l’artista romano si è evoluto a gambero, partendo come innovatore della Trap e finendo a fare il più reazionario fra i giovani cantanti del mainstream tricolore (ricordiamo che è classe 1990). Il brano è mediocre, e intendiamo proprio mediocre in senso etimologico. Testo d’amore tormentato facile facile, base ignorantissima come solo il vecchio Vasco sapeva fare, voce senza autotune improponibile in qualsiasi contesto civile, però esibizione studiatissima che ha colpito nel segno. Le dichiarazioni/polemiche sul gender fluid, la mascolinità tossica, l’eteroflessibilità non ingannino: il frasario LGBTQI+ è solo una coperta terminologica per aggiornare la cara vecchia ambiguità sessuale. Il brano meriterebbe un 4 senza appello, ma sommato alle esibizioni diventa un 8 perché Lauro è oramai un’artista a tutto tondo, per cui la musica è solo uno degli strumenti espressivi.
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