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I social hanno eretto il cringe a lavoro

I social hanno eretto il cringe a lavoro. Fino a ieri percepito come stigma, oggi la generazione Alpha l’ha trasformato in un genere virale, monetizzando il bisogno dei giovanissimi di sentirsi superiori e più fortunati degli altri senza alcuno sforzo.

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I social hanno eretto il cringe a lavoro. Fino a ieri percepito come stigma, oggi la generazione Alpha l'ha trasformato in un genere virale, monetizzando il bisogno dei giovanissimi di sentirsi superiori e più fortunati degli altri senza alcuno sforzo.
Crediti foto eli.espositoo Instagram

“Cringe” è una parola difficilmente traducibile in italiano. Fonde in un unico termine due sensazioni diverse e distinte per noi italiani, ossia “imbarazzo” e “disagio”. Il cringe potrebbe essere definito quindi: un look, un atto, un contenuto social, ecc che crea disagio in chi lo guarda perché lo costringe a provare vergogna per chi ha partorito quel contenuto/comportamento/look. Non a caso, cringe  è un termine strettamente collegato ai contenuti social: il solo definire un contenuto cringe fino a poco tempo fa significava affossarlo e bollare il suo ideatore come un influencer/contents creator da non seguire. Da qualche tempo a questa parte si è però assistito ad una rivoluzione: non solo il cringe non è più percepito come un giudizio lapidario verso un contenuto e il suo creatore, ma ci sono perfino contets creator e influencer che si sono specializzati nel produrre unicamente contenuti cringe. Vediamo che succede.

Il cringe e il fattore generazionale

Il passaggio del “cringe” da stigma a genere di contenuto social fra gli altri, è un passaggio di tipo generazionale: sono la generazione Z e quella Alpha (cioè gli under 30) che hanno cominciato a sentire il cringe non più come un tabù, ma come l’ennesima possibilità di creare contenuti virali e quindi generare visualizzazioni, engagment e monetizzazione. Questo ha creato una frattura evidente nella fruizione e nel giudizio dei contenuti social con le generazioni precedenti: per boomer e millennials, infatti, i contenuti cringe dovrebbero essere penalizzati se non vietati dai social, perché forniscono cattivi esempi ai giovani e sdoganano l’idea che pur di creare contenuti virali è lecito perdere ogni dignità e pudore. Esattamente quello che cercano i più giovani: per loro il cringe  non è che la continuazione della rivoluzione della musica trap, che postulava che chiunque avesse il diritto di diventare ricco e famoso, indipendentemente dalle sue capacità di cantante e songwriter.

La trap e il cringe

Partiamo da una premessa ovvia: la trap non è un genere musicale cringe in sé, né lo ha mai volontariamente ricercato. Tuttavia, i suoi maggiori autori, per non parlare delle infinite schiere di imitatori, hanno prodotto contenuti cringe e non li hanno mai sconfessati, poiché hanno contribuito a differenziarli dal resto della scena musicale. Di che contenuti parliamo? Ovviamente di quelli in cui giovanissimi figli della classe media si fingono boss del quartiere in diretta social , o di video virali in cui ragazzini non ancora quattordicenni della Milano o della Napoli bene discutono di pistole e pacchi di droga smerciati nemmeno fossero Palo Escobar, o di quindicenni evidentemente vergini che parlano di quante “bitch” rimorchiano in discoteche esclusive nelle quali non hanno né i soldi né l’età per entrare. La trap è stata un’ enorme fucina di contenuti cringe, ma gli autori di tali contenuti non cercavano il cringe anzi, volevano essere presi disperatamente sul serio dai loro followers e haters.

Il cringe come marchio di fabbrica

Se la trap ha scaricato nei social un’ enorme quantità di contenuti cringe senza volerlo, il passaggio successivo è stata la nascita di influencer e contents creator che invece hanno prodotto materiale cringe con l’esplicita intenzione di farlo: parliamo di personaggi come Michelle Comi, Elisa Esposito, il Dottor Bavaro, Filippo Champagne. I punti di riferimento di questa nuova ondata di influencer e contents creator sono sia i trapper più o meno famosi, sia personaggi del mainstream italiano che da sempre sono considerati fuori dagli schemi: parliamo di conduttori come David Parenzo e Giuseppe Cruciani, di attrici/modelle come Lory Del Santo (la sua webserie “The Lady” è considerata una pietra miliare del cringe non solo in Italia), di figure che alternano spettacolo e delinquenza come Fabrizio Corona e Er Brasiliano. Questi padri poco nobili sono stati presi, distillati e ulteriormente semplificati, per stare dentro al minuto scarso dei video di Instagram/TikTok creando una miscela a dir poco esplosiva.

Il fondo è stato sfondato

Per capire il cambio di paradigma, prendiamo ad esempio Elisa Esposito che convince in diretta Instagram la madre Cinzia Galullo ad aprirsi Onlyfans. L’influencer milanese (classe 2002) ha creato una vera e propria serie di video in cui far crescere l’hype intorno alla conversione della propria madre al non lavorare, ossia all’abbandonare l’occupazione tradizionale che prima aveva per guadagnare con il proprio Onlyfans. Questi video sono costruiti con l’evidente intento di presentare la madre come una donna giovane, moderna, emancipata, capace di reinventare la propria vita anche a 50 anni. Il modo di presentare tutto ciò sui social  ottiene però, volontariamente, l’effetto opposto: la madre parla come un automa leggendo testi fuoricampo, è evidentemente a disagio nell’indossare capi presi dal guardaroba della figlia, ripete ossessivamente di essere open mind (sottolineando fino alla nausea l’errore in inglese, dato che la forma corretta sarebbe “open minded”), e in generale è palpabile il suo disagio nel tentare d’impersonare il personaggio che la figlia ha creato per lei . E’ proprio questa palese incapacità della madre a fare ciò che la figlia l’ha convinta a recitare a generare la viralità dei contenuti: per le generazioni Z e Alpha il disagio di Cinzia Galullo è divertente, un modo per sentirsi infinitamente superiori ad una boomer fuori dal mondo solamente guardandola inciampare nelle parole in 45 secondi di video.

Il roseo futuro

Per quanto ai meno giovani possa sembrare una moda aberrante, il cringe è nato per rimanere. E’, a tutti gli effetti, un riadattamento pensato per Instagram/TikTok dei freak show e dei fenomeni da baraccone dell’epoca d’oro dei circhi. Un riadattamento che genera una quantità enorme di visualizzazione ed engagment, che però non può essere convertito in sponsorizzazioni dei brand per un motivo abbastanza ovvio: nessun marchio prestigioso vorrebbe mai essere associato agli eredi postmoderni dei fenomeni da baraccone. Il guadagno di questi contents creator non avviene quindi tramite partnership con i brand, ma tramite la produzione di contenuti porno e soft porno su Onlyfans e le ospitate in discoteca, nelle sagre, alle inaugurazioni dei locali et similia. Fonti d’introito alternative e poco utilizzate dagli influencer canonici, ma estremamente redditizie poichè riempiono uno spazio di mercato lasciato sguarnito, lo stesso che soddisfacevano i fenomeni da baraccone nei circhi: il bisogno del pubblico di sentirsi infinitamente superiore e più fortunato di loro.

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