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I social hanno democratizzato la chirurgia plastica

I social hanno democratizzato la chirurgia plastica: passata da vizio della star a investimento lavorativo, i giovani ne sono schiavi, incoraggiati spesso dalle famiglie che sognano per le proprie figlie una carriera da influencer.

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I social hanno democratizzato la chirurgia plastica: passata da vizio della star a investimento lavorativo, i giovani ne sono schiavi, incoraggiati spesso dalle famiglie che sognano per le proprie figlie una carriera da influencer.
Crediti foto dilettaleotta Instagram

Prendiamone atto: i social hanno democratizzato la chirurgia plastica. Fino a poco tempo fa il ricorrere alla chirurgia plastica era visto come un peccato di vanità, a cui si faceva parziale eccezione per le star di musica e cinema, che erano costrette a ricorrere ai “ritocchini” per preservare quall’aura di perenne giovinezza necessaria a lavorare. I social hanno innescato una rivoluzione di cui la portata complessiva ancora ci sfugge: hanno indotto le nuove generazioni a ritenere la chirurgia plastica non un vezzo da ricchi, ma una necessità di tutti (o meglio, di tutte). Una rivoluzione di pensiero che è stata aiutata dall’abbassamento dei costi dei “ritocchini”: ormai con 50.ooo euro è possibile rifarsi viso, seno e glutei, trasformandosi da ragazza carina a donna bellessima contesa da tutti (vedasi Diletta Leotta). Vediamo i problemi e le prospettive che questo scenario apre.

Da peccato ad investimento

Il centro della questione sono le mutate esigenze economiche create dai social: l’enorme numero di contents creator e influencer ha generato una spietata guerra per la visibilità e la fidelizzazione dei followers, che passa principalmente (soprattutto nel caso delle donne) più per l’avvenenza fisica che per la qualità dei contenuti prodotti. Ecco quindi sorgere la necessità di investire economicamente sul proprio aspetto fisico, per sperare di avere una chance di emergere sopra la concorrenza. Questo trasforma il ricorso alla chirurgia estetica da vizio tollerato, se a ricorrervi sono le star, a investimento sulla carriera che deve essere alla portata di tutte: un mutamento che presuppone anche una diversa percezione del proprio corpo, che non diventa più una parte di sé ma un mezzo di produzione della ricchezza da modificare, riplasmare, vendere sul mercato dei social.

Libertà o nuova schiavitù?

Ovviamente questo mutamento ha provocato un ampio e talvolta feroce dibattito fra femministe e attivisti da tastiera. Il corpo visto come mezzo di produzione di ricchezza e merce da vendere su Instagram e TikTok non è una nuova forma di schiavitù? Che senso hanno le battaglie sul bodyshaming, se poi i social hanno imposto canoni di bellezza ancora più stringenti e onnicomprensivi di quanto faccessero tv, moda e cinema? Il dibattito non è di lana caprina, ma è incapace di arrivare ad un qualche risultato condiviso poiché a scontrarsi sono due principi cardine del neofemminismo dei social: il diritto a non essere giudicate per il proprio aspetto fisico, e il diritto di fare tutto ciò che si vuole con il proprio corpo (“Il corpo è mio e me lo gestisco io”). Due diritti visti entrambi come fondamentali ed inalienabili, che però calati nella realtà della spietata competizione per la visibilità sono costretti a cozzare e divenire “divisivi”.

L’allarme lanciato da medici, insegnanti e psicologi

Ovviamente questa rivoluzione non è sfuggita a coloro che per vocazione e/o professione hanno a che fare con i giovani e la loro salute psicofisica, cioè insegnanti, psicologi e medici. Secondo gli insegnanti questo nuovo trend è l’ennesimo esempio di come il mercato manipoli i giovani e i loro sogni, costringendoli ad una competizione suicida per ottenere autostima e la speranza di un lavoro. Per gli psicologi questo insistere sul corpo e la sua appettibilità sessuale sul mercato, vendendo la speranza a giovani e giovanissime che con qualche sacrificio economico potranno essere finalmente viste come belle, desiderabili e quindi degne d’amore, è devastante per ragazze e ragazzine già rese fragili dai problemi adolescenziali, delle famiglie sempre più frantumate, da una sfiducia generale nel proprio futuro economico e sentimentale. Per i medici la questione invece è più tecnica: la richiesta di una chirurgia estetica di massa ha creato un mercato di chirurghi estetici “professionisti” che abbassano sempre più l’asticella della qualità e della sicurezza delle operazioni effettuate sui pazienti, in modo da abbassare i prezzi e guadagnare di più. A discapito ovviamente della salute (vedasi la tragica morte di Margaret Spada) di coloro che finiscono sotto i loro ferri.

Qualche dato

I dati illuminano meglio dei discorsi la vastità del problema: secondo quanto diffuso dalla SICPRE (Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica), i trattamenti di medicina e chirurgia estetica hanno avuto un incremento di almeno il 20% solo nell’ultimo anno. Il 17,7% dei giovani intervistati vorrebbe migliorare una parte del corpo ricorrendo alla medicina estetica e alla chirurgia plastica. Il 15,8% delle ragazze e il 3,3% dei ragazzi ha già usufruito della medicina estetica per curare acne, ridurre i peli e le smagliature, correggere il naso, le orecchie o il seno. il 14,6% dei ragazzi dichiara che sa di qualche familiare che si è già sottoposto ad un intervento di medicina estetica. Il 12,6% confessa che il suggerimento di rivolgersi al chirurgo plastico è arrivato direttamente da uno dei genitori.

Cosa fare?

Secondo molti bisognerebbe intervenire mettendo nuove regole al settore della chirurgia estetica e facendo educazione in tal senso nelle scuole. Una richiesta comprensibile, che si scontra però con il dato di fatto che non basterebbe una regolamentazione nazionale, ma ne servirebbe una europea: molte donne infatti ricorrono a chirurghi extra-ue attratte dai prezzi molto più bassi rispetto a quelli offerti dai professionisti nostrani. Allo stesso modo, per contenere il fenomeno, la scuola  può far bene poco: sia perché è un problema nuovo su cui manca qualsiasi tipo di formazione, sia perché la spinta a modificare il proprio corpo è data non solo da fragilità personali, ma anche da un sistema culturale ed economico pervarsivo come quello dei social, a cui aderiscono persino molti genitori. Per di più stiamo assistendo al sorgere del problema, non al suo zenit: la corsa alla chirurgia estetica è iniziata da poco, e i fattori che l’hanno prodotta (la necessità di emergere su Instagram/TikTok, la necessità di vendersi su Onlyfans) non sono mode passeggere, ma vere e proprie istituzioni che ormai contendono a famiglie e scuola la formazione della personalità e delle prospettive dei giovani.

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