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L’insostenibile privilegio di essere “brutte”

L’insostenibile privilegio di essere “brutte”. Negli USA la guerra contro il pretty privilege porta alla ribalta le “brutte e contente”, che invadono i social con le loro storie di ordinaria felicità, lontane dalle pressioni sociali e dalla vita frenetica delle “belle”. Il tutto già perfettamente confezionato per essere usato da serie tv e cinema.

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L'insostenibile privilegio di essere "brutte". Negli USA la guerra contro il pretty privilege porta alla ribalta le "brutte e contente", che invadono i social con le loro storie di ordinaria felicità, lontane dalle pressioni sociali e dalla vita frenetica delle "belle". Il tutto già perfettamente confezionato per essere usato da serie tv e cinema.
Crediti foto americaferrara Instagram

La lotta contro le discriminazioni partita dalle università statunitensi non conosce sosta, così come non conosce limiti la quantità di privilegi veri o presunti che riesce a scoprire e a denunciare. L’ultimo privilegio, in ordine cronologico, scoperto dagli studenti USA è il cosidetto “Ugly privilege”, ossia il privilegio di essere brutte (vale solo per le donne). Secondo questa corrente di pensiero (subito impostasi sui social) le brutte avrebbero una serie di vantaggi non indifferenti, fra cui il minor rischio di essere stuprate, di trovare il vero amore e di non essere molestate sul luogo di lavoro. Vediamo cosa succede.

La questione dei privilegi

Negli USA ormai ogni fattore biologico, culturale o di origine familiare viene scandagliato, dissezionato e poi analizzato per vedere se nasconde un qualche privilegio. Questo deriva dal paradosso del culto americano della meritocrazia: se ad essere premiati devono essere gli individui migliori, e devono continuamente mostrare di essere i migliori solo in virtù della loro forza di volontà, intelligenza e carisma, ogni altro attributo è un vantaggio illegittimo nella competizione. Altezza, peso, colore della pelle, provenienza familiare, ecc sono tutti fattori che possono creare privilegi e penalizzazioni agli individui, falsando così le gerarchie sociali che dovrebbero guardare solo al merito e non al colore della pelle, al lavoro dei genitori o al fatto che sei nata brutta.

Il pretty privilege

In questo quadro uno dei primi e più incisivi privilegi che alcuni individui detengono senza alcun merito, è quello della bellezza. Numerosi studi scientifici (ovviamente statunitensi) hanno dimostrato che le persone considerate belle hanno più possibilità di ottenere avanzamenti di carriera, partner più ricchi, maggiore riconoscimento sociale. Una serie di benefit che noi europei abbiamo sempre considerato questione di fortuna o doni di natura, per gli americani diventano altrettanti ostacoli ad una società giusta che vanno abbattuti. Il problema è: come si abbatte la bellezza? Si modificano i canoni sociali creando nuove categorie che generano nuovi standard di bellezza e bruttezza? Si promuovono campagne culturali con cui si inculca l’idea che tutti sono belli (il body positive)? Ognuna di queste soluzioni ha i suoi pro e i suoi contro, ma il problema centrale rimane: i belli hanno più successo, anche se questo non li rende automaticamente felici, anzi.

La fatica della bellezza

La gran parte delle donne considerate detentrici del pretty privilege però non ci sta ad essere considerata indebitamente privilegiata. Ecco quindi le “belle” elencare tutti i terribili svantaggi della loro condizione: le continue attenzioni indesiderate, le molestie e la paura della violenza sessuale, la fatica di dover continuamente mantenere la propria forma fisica con diete, skincare e palestra, fino alla lotta quotidiana condotta sul luogo di lavoro per far valere la loro intelligenza, competenza e volontà contro il pregiudizio che essere belle significhi essere stupide e frivole. Insomma secondo le “belle” il loro più che un privilegio è una condanna, che le porta a faticare il doppio per avere il giusto riconoscimento sociale e soprattutto per essere felici, perché alla fine di tutto il circo, la loro lotta quotidiana contro pregiudizi e pressione sociale lascia ben poco tempo e possibilità di trovare la felicità.

Belli e tristi, brutti e felici

Partendo dall’ovvietà che l’essere belli non dà la felicità, ecco i detentori del pretty privilege allearsi con la nuova ondata delle “brutte”, fiere di essere tali. Abbiamo quindi giovani ragazze che si considerano brutte elencare su TikTok e Instagram i loro privilegi, di cui finora la società non si era accorta: dal minor rischio di essere stuprate e molestate sessualmente, passando dalla minore pressione sociale sui loro cambi di peso, look e skincare, fino al vantaggio di poter uscire in solitaria al cinema o in discoteca senza essere abbordate. L’essere considerate socialmente brutte quindi crea una serie di vantaggi non indifferenti, che possono dare più possibilità di trovare la felicità.

Le brutte fra cinema e serie tv

Ovviamente Hollywood e dintorni non sono indifferenti a queste battaglie social. I vecchi successi di un cartone animato cult come “Daria” e la serie “Ugly Betty”, per non parlare dei più recenti exploit delle protagoniste di Pose, ma anche Kat in Euphoria, Amy di The Big Bang Theory, Annalise Keating in How to Get Away with a Murder, sono tutti indici che c’è un pubblico molto interessato alla vita delle “brutte”. Meno successo hanno avuto invece i tentativi Disney e Sony di proporre al pubblico supereroine dalla bellezza non canonica: Mrs Marvel, The Marvels, She Hulk e Madame Web hanno pagato lo scotto di scegliere protagoniste non considerate belle dal pubblico maschile con un flop. Se il genere dei supereroi sembra impermeabile al fascino delle non belle, non è però detto che il pubblico amante di altri generi (dalla commedia al film romantico) abbia gli stessi pregiudizi, anzi.

Le guerre future

Probabilmente l’ugly privilege finirà a fare da periodico tormentone social come tante altre etichette inventate dalle università statunitensi. Sicuramente più interessante per le sue potenzialità in ambito marketing, moda e produzione culturale, è la questione del punto di vista delle “brutte”: il successo della battaglia sui social fra “belle” e “brutte” dimostra che c’è un vasto pubblico giovanile interessato alle storie e al modo di guardare la vita delle “brutte”, e quindi a comprare i brand, consumare i prodotti culturali, fare i viaggi e recarsi nei locali consigliati da queste ultime. Non è detto che il cinema, la musica e le serie tv non colgano la palla al balzo per sfruttare il trend, coprendo un mercato colpevolmente trascurato dai content creators.

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