Attualità
Anche sui set italiani arriva l’intimacy coordinator
Anche sui set italiani arriva l’intimacy coordinator. Figura diventata canonica sui set USA, in Italia si sta imponendo lentamente, e per ora solo sui set di film/serie tv nostrani votati all’esportazione. Nonostante le difficoltà, il suo futuro è roseo: gli attori la vogliono, i registi e i produttori pure.
Negli USA c’è stato un grande dibattito sul ruolo della sessualità nei set, su come mostrarla nel modo corretto, su come evitare traumi e stress agli attori impegnati in scene fisicamente ed emotivamente “provanti”. Questo enorme dibattito, di cui in Italia sono arrivati appena gli echi, ha prodotto un figura che ormai è diventata obbligatoria sui set statunitensi, ossia l’intimacy coordinator. Cosa fa nella pratica questa figura? Aiuta psicologicamente gli attori ad affrontare scene difficili, che vanno dai rapporti sessuali simulati fino a scene in cui i loro personaggi offendono o vengono offesi da altri attori. Quindi l’intimacy coordinator non si occupa solamente della sessualità sui set, ma più in generale di tutto ciò che potrebbe essere emotivamente traumatico per gli attori all’interno di un film. Per fare un esempio celebre: Ryan Gosling è un grande sostenitore del lavoro di questa figura per il benessere degli attori. Ora questa figura sbarca anche in Italia, per il momento solo sui set di serie e film pensati per l’esportazione, vediamone quindi l’origine per capire il futuro che l’attende.
Il tema consenso nella tradizione del cinema
Dopo il #metoo negli USA c’è stato un ampio dibattito su cos’è il consenso, un dibattito che in Italia abbiamo importato poco e male senza comprenderne le motivazioni profonde. Limitandoci al cinema, tradizionalmente l’attore o l’attrice firmava il contratto d’ingaggio dopo aver letto la sceneggiatura (qualche volta solo un abbozzo di sceneggiatura), una volta firmato il contratto l’attore/attrice era vincolato a come il regista e la troupe intendevano girare nella pratica le scene. Le scene potevano comprendere nudità, simulazione di rapporti sessuali, scene di violenza verbale o fisica correlati al tema sesso, se l’attore/attrice provava disagio o si rifiutava di girare le scene non interessava a nessuno: aveva firmato un contratto e doveva farlo, le sue “fatiche emotive” erano problemi che non riguardavano il resto dei lavoratori del set.
Una nuova sensibilità
Dopo il #metoo, l’idea che il solo aver firmato un contratto costringesse un attore/attrice a recitare scene a tema sessuale, è diventato molto problematico. Gli attori chiedono alla produzione e ai registi di lavorare sulle scene, di essere preparati al carico emotivo che comportano, a dare un consenso separato a tutte le singole scene che devono interpretare che abbiano a che fare con il tema sessualità. Queste nuove richieste trovano il mondo del cinema impreparato: produttori e registi non hanno le competenze né la sensibilità per accogliere ed esaudire queste nuove richieste, quindi nasce una figura che deve avere la preparazione per farlo, ossia l’intimacy coordinator.
Che curriculum e competenze ha l’intimacy coordinator?
Essendo una figura professionale recentisimma non ha una formazione specifica né proviene da un solo ambito professionale. Ci sono intimacy coordinator che hanno una laurea in psicologia e/o in sessuologia, altre che hanno un passato da personal trainer, altre ancora che gestivano programmi in cui l’arte si univa alla psicologia (ad esempio registi teatrali specializzati nel lavorare con cast di disabili, detenuti, ecc). Il filo che unisce questa figure così variegate non è di tipo accademico, ma una sensibilità e una capacità pratica comune: quella di capire gli altri e di farli lavorare in gruppi coordinati rispettandone i limiti, le difficoltà, le fragilità psicologiche.
L’allargamento delle sfere di competenza dell’intimacy coordinator
In brevissimo tempo l’intimacy coordinator sui set statunitensi allarga di molto la sua sfera d’azione: inizialmente usata per le sole scene a tema sessualità, in brevissimo tempo viene chiesta per lavorare con troupe e cast su altre tematiche, che vanno dal razzismo al sessismo, passando per le scene incentrare sulla violenza (tortura, umiliazione, ecc). In poche parole diviene una figura chiave ovunque nei film si presentino temi eticamente sensibili. Un allargamento di competenze rapidissimo e avvenuto senza particolari rimostranze da parte di produttori e registi, che hanno visto sì lievitare i costi, ma hanno anche ottenuto un clima più sereno e meno conflittuale sui set e un netto risparmio sulle scene da rifare. Insomma quello dell’intimacy coordinator è il rarissimo caso di una figura capace di mettere d’accordo tutti.
Lo sbarco in Italia
In Italia notoriamente importiamo le innovazioni USA lentamente ed adattandole alla nostra peculiare sensibilità nazionale. Il caso dell’intimacy coordinator non fa eccezione: ritenuta, secondo gli standard nostrani, una figura strana, che fa un lavoro che in teoria dovrebbero fare gli attori, nonché una figura che non ha un vero curriculum quindi non si capisce perché dovrebbe essere pagata come una professionista, la sua introduzione sui set tricolori è stata lenta e non priva di frizioni. Le prime ad adottarla sono state ovviamente le serie prodotte in Italia ma fatte per essere esportate nel mercato anglofono: per essere in regola con gli standard del mercato USA/UK/Australia l’intimacy coordinator è d’obbligo, quindi bisogna averla sul set. I risultati però sono incoraggianti: serie come Petra 3, Blocco 181, Mrs. Playmen hanno visto l’esordio di questa figura con soddisfazione di tutti.
Il futuro
Dato il sempre maggiore risalto dato alla salute mentale e alla soddisfazione sul luogo di lavoro, la figura dell’intimacy coordinator ha davanti a sé un futuro roseo. Gli attori la vogliono, registi e produttori sono soddisfatti dei risultati di benessere psico-fisico e di risparmio che produce sui set, il pubblico anglofono la richiede come garanzia che il film/serie tv prodotto rispetti gli standard etici ormai divenuti patrimonio comune. In Italia la questione procederà in maniera più lenta, dovendo affrontare una cultura lavorativa dove temi come il benessere fra colleghi, il consenso del lavoratore verso gli ordini impartiti dal datore di lavoro, ecc sono tradizionalmente visti non come diritti ma come vezzi a cui non prestare attenzione. Tuttavia sia per le pressioni del mercato internazionale, sia per la soddisfazione provata dagli attori che hanno potuto lavorare con questa figura, anche sui set italiani si imporrà progressivamente la sua presenza.