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Non solo Morgan: le molestie nel mondo dell’arte

Non solo Morgan: le molestie nel mondo dell’arte. Dal Metoo del 2017 a oggi poco sembra cambiato, nel mondo dell’arte l’omertà è un sistema a cui pochissimi riescono a sfuggire, nonostante questo le denunce (sui social che alla magistratura) sono in aumento, segno che le vittime sono stanche di un sistema che tollera e protegge violenza e ricatti sessuali

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Non solo Morgan: le molestie nel mondo dell'arte
Crediti foto Morgan Facebook

Ha fatto un grande scalpore il caso Morgan, accusato di stalking dall’ex Angela Schiatti, attuale compagna di Calcutta. L’ex leader dei Blu Vertigo è attualmente sotto processo a Lecce, con l’accusa di aver inviato nudi della Schiatti (poi cancellati) al gruppo Telegram InArteMorgan, di aver minacciato lei, la sua famiglia e il compagno, di aver pagato due persone per pedinare sia lei che il suo attuale compagno Calcutta. Attualmente non c’è alcuna condanna, quindi legalmente Morgan non è formalmente reo di nulla, ma lo scandalo ha costretto la Warner Bros a rescindere il contratto con lui, mentre la RAI, con un comunicato stampa, sostiene non ci sia alcun contratto in essere con l’artista, ma solo un progetto che probabilmente non verrà concretizzato. Morgan però non è un caso isolato: le violenze nei confronti delle donne nel mondo dell’arte sono molto più frequenti di quello che si pensi.

All’inizio era il Metoo USA

Il movimento Metoo nasce nel 2006 ad opera dell’attivista Tarana Burke, che fondò un’associazione per aiutare le vittime di violenza di genere a denunciare. Il movimento divenne celebre però nel 2017, quando numerose celebrity americane lo usarono come hashtag, dopo che il megaproduttore di Hollywood Harvey Weinstein venne accusato di violenza sessuale e ricatto sessuale da numerose attrici della sua scuderia. La prima celebrity ad usare l’hashtag nel 2017 fu Alyssa Milano, seguita poi da numerose altre. Lo scandalo e l’ampiezza del fenomeno furono subito evidenti: Milano lanciò il primo tweet con l’hashtag #metoo il 15 ottobre 2017: a fine giornata era già stato rilanciato 200.000 volte, salite a 500.000 dopo due giorni. Su Facebook, l’hashtag è stato inserito in 12 milioni di post da 4,7 milioni di persone in sole 24 ore, e Facebook riportò che solo negli Stati Uniti il 45% degli utenti aveva almeno un contatto che avesse scritto un post contenente l’hashtag.

La diffusione e la consapevolezza di un problema strutturale

Ma il problema non era solo del mondo del cinema USA. Nel corso dei mesi successivi l’hastag Metoo venne tradotto in altre lingue generando una quantità enorme di testimonianze provenienti da ogni parte del mondo: in Canada era il #moiaussi, in Francia #balancetonporc. Diverse altre star iniziarono a condividere le loro esperienze, non solo con Weinstein: Marisa Tomei, Gwyneth Paltrow, Ashley Judd, Uma Thurman, mentre in Italia a farsi avanti furono Gina Lollobrigida e Asia Argento. La diffusione e la ripetitività delle dinamiche dei reati ha portato numerosi giornalisti e attivisti a parlare di un problema strutturale della violenza sulla donna nel mondo dell’arte, dato che le denunce coinvolgono il mondo del cinema, della moda, della musica e persino dell’Accademia che assegna i premi Nobel.

Se tutti sanno perché nessuno parla?

Se tutti erano a conoscenza del problema, perché si è aspettato il 2017 per parlarne? Perché la paura era quella di perdere occasioni lavorative e guadagni: chiunque provasse a denunciare alla magistratura le violenze subite sui set, nella case discografiche, negli atelier, veniva immediatamente emarginato socialmente e perdeva ogni possibilità lavorativa. Il Metoo ha dimostrato quindi che il mondo dell’arte ha al suo interno dinamiche di omertà non molto diverse da quelle mafiose, dinamiche che chiunque voglia lavorare in quest’ambito impara per esperienza se vuole sopravvivere nel sistema.

La fine del Metoo non è la fine del sistema che il Metoo denunciava

Nonostante l’ampia diffusione e il clamore mediatico, nel giro di nemmeno un anno il Metoo si sgonfia fino a scomparire dai radar dei media. I perché sono molti e complessi: molte delle denunce delle violenze subite vengono fatte sui social, ma poi le vittime non sporgono denuncia alla magistratura quindi non c’è alcun processo, ma solamente uno stigma pubblico verso il presunto violento. Le poche denunce che arrivano effettivamente alla magistratura (ad esempio quelle ad Harvey Wenstein e Kevin Spacey), danno vita a processi che durano anni e poi portano all’assoluzione degli imputati, spesso scagionati dalla mancanza di prove decisive più che dall’essere totalmente estranei ai fatti. Sono proprio la lunghezza, e il costo in avvocati, di processi incerti che ha generato il fenomeno che ha affossato il Metoo e che anche Morgan ha proposto alla Schiatti: l’accordo in via extragiudiziale dove la vittima ritira la denuncia in cambio di una somma di denaro elargita dal reo. La prassi del ritiro della denuncia in cambio di soldi (tipico degli USA) e poco utilizzato in Europa, ha screditato a livello mediatico il Metoo, che è stato considerato da una buona fetta dell’opinione pubblica un modo per celebrity ed ex celebrity di racimolare soldi e attenzione mediatica sfruttando la curiosità morbosa intorno ai reati sessuali.

Metoo in Italia

In Italia il Metoo ha avuto meno clamore mediatico rispetto al resto dell’Occidente, e anche minori conseguenze. Le denunce sui social sono state poche, ancora meno quelle arrivate alla magistratura. Nonostante Carlo Verdone all’epoca e l’attore Silvio Orlando recentemente abbiano dichiarato che il sistema di omertà e ricatto tricolori non siano molto diversi da quelli USA, in Italia esiste una forte resistenza culturale nell’accettare che offrire lavoro in cambio di favori sessuali sia reato e non un semplice “essere maiali”, così come nel considerare atti come il pedinare l’ex o intasarle i social e la segreteria di messaggi sia stalking (cioè reato) e non una forma estrema di romanticismo. Queste resistenze culturali hanno scoraggiato le vittime a prendere parola sui massmedia, e ancora di più a rivolgersi alla magistratura per ottenere giustizia.

Dopo il Metoo non è cambiato nulla

Dal Metoo sono passati 7 anni. E’ cambiato qualcosa? A giudicare dal numero di denunce e dal sistema che descrivono, non è cambiato nulla. Recentemente sono emersi altri casi che lo dimostrano: Gérard Depardieu è sotto processo per violenza sessuale ai danni dell’attrice Charlotte Arnould sul set di Les Volets Verts, Marilyn Manson ha risolto con il denaro una causa per strupro e tortura nei confronti di Jane Doe, mentre denunce analoghe contro di lui da parte dell’attrice ed ex fidanzata di Game of Thrones Esme Bianco, la sua ex assistente personale Ashley Walters e l’ex fidanzata Ashley Morgan Smithline sono rimaste confinate ai social. In entrambi i casi le vittime hanno parlato di pressioni da parte di colleghi, produttori, perfino forze dell’ordine, perché non presentassero denuncia, dimostrando che il sistema è perfettamente a conoscenza di quanto avviene e ancora oggi fa di tutto per coprire i rei.

Cambierà qualcosa in futuro?

Se il sistema di omertà diffusa e accettazione della violenza sulle donne non è cambiato dal 2017 a oggi, a essere cambiato è il numero di lavoratrici del mondo dello spettacolo che denunciano sui social e alla magistratura le violenze subite. Dopo il Metoo si è verificata una piccola rivoluzione: le vittime hanno preso coraggio e hanno cominciato a denunciare, mentre prima erano spinte dalla vergogna e dalle pressioni esterne al silenzio. Per ora le denunce hanno portato a poco: i processi sono lunghi e costosi, i massmedia trattano solo i casi più eclatanti e non parlano più di un sistema ma di singole mele marce, produttori e artisti accusati si rinchiudono dietro silenzio stampa e avvocati aspettando passi la burrasca per poi ricominciare a fare quello che facevano prima. Nonostante il sistema non sia cambiato, a cambiare è stato l’atteggiamento di molte vittime: comportamenti a lungo tollerati in silenzio adesso vengono ritenuti inaccettabili. Non è una gran vittoria, ma fa sperare in un mondo dell’arte epurato da violenze e ricatti sessuali in un prossimo futuro.

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