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Estetista Cinica distrugge il mito dell’Accademia di Brera?
Estetista Cinica distrugge il mito dell’Accademia di Brera? Secondo alcuni quotidiani nazionali e i leoni da tastiera sì, ma l’influencer-imprenditrice bresciana incassa la difesa di pezzi da novanta del mondo della cultura come Angelo Crespi e il Corriere della Sera. Ormai l’influencer è un lavoro quotato e riconosciuto e lo dimostra pagando fior di quattrini per farsi pubblicità nei luoghi “sacri” della cultura italiana.
Estetista Cinica distrugge il mito dell’Accademia di Brera? A quanto sembra leggendo i titoli dei quotidiani pare di sì, ma l’imprenditrice-influencer li accusa di becero classismo sul suo profilo Instagram. Da che parte sta la ragione? Difficile dirlo, dato che la cena-evento organizzata da Estetista Cinica per la sua azienda Veralab all’Accademia di Brera si inserisce in un trend ormai consolidato, che vede musei e luoghi “sacri” delle arti ospitare influencer e brand per racimolare denaro. Un trend approvato e regolamentato dallo stesso Ministero della Cultura, che incoraggia aziende e individui abbienti ad affittare per eventi musei et similia, facendo sì che i bilanci di questi enti rimangano in sesto dopo i draconiani tagli dei finanziamenti statali. Questo trend però trova parecchi oppositori fra i lavoratori dei beni culturali e gli estimatori dell’arte, che vedono in questo uso privato del patrimonio artistico pubblico un attentato alla cultura. Approfittando di questa annosa diatriba, i quotidiani nazionali si sono buttati a pesce sull’evento organizzato dal brand Veralab, azienda che a loro avviso ha la colpa di essere stata creata da un’influencer.
Numeri e regolamenti
Affittare la Pinacoteca di Brera per una serata costa 80.000 euro, più gli straordinari dei custodi da pagare a parte. Tuttavia, non basta avere il denaro: bisogna che l’azienda o l’influencer che vuole affittare lo spazio abbia una proposta e un prestigio consono al brand (perché di fatto questo è diventato) dell’Accademia di Brera. Secondo Angelo Crespi, attuale direttore dell’accademia milanese, l’aura d’imprenditrice-influencer di Estetista Cinica e l’evento da lei proposto sono perfettamente consoni all’aura sacrale dell’antico ateneo pubblico meneghino. Intervistato da alcuni quotidiani nazionali, Angelo Crespi ritiene che la polemica nasca dal fatto che esiste un diffuso pregiudizio contro le influencer, dato che l’affittare spazi culturali pubblici per eventi privati a brand come Dior o Armani non crea alcuna polemica, mentre dare gli stessi spazi a Estetista Cinica o a Chiara Ferragni (qualcuno si ricorda della sua gita ultrapubblicizzata agli Uffizi?) scatena una bagarre.
Estetista Cinica accusa i critici di classismo
Da esperta influencer Estetista Cinica (al secolo Cristina Fogazzi) ribatte alla polemica con un post sul suo profilo Instagram, accusando quotidiani e haters di “classismo della peggior specie”. Nel post ribadisce che non è solo una “semplice” influencer, ma un’imprenditrice rampante del beauty italiano, e che la sua azienda Veralab è la quinta per fatturato in questo campo, garantendo lavoro a 250 collaboratori e finanziando i musei con parte degli utili . Fra gli eventi e i progetti finanziati ci sono 9000 biglietti regalati per entrare nei musei, una residenza per artisti ucraini, l’aver reso gratuita la mostra di Nico Vascellari, e donato migliaia di ingressi alle mostre di Palazzo Reale a Milano e al Chiostro di Bramante. In poche parole Estetista Cinica ci tiene a far sapere prima di tutto che è un’imprenditrice di successo, e in secondo luogo che il suo impegno nella promozione dell’arte non parte certo dall’altro ieri.
Cristina Fogazzi è veramente vittima di classismo?
La questione è più complicata di quanto sembra, e di quanto Fogazzi la voglia far apparire. Sicuramente i quotidiani nazionali hanno polemizzato sull’evento fiutando il clickbait: l’influncer che, in virtù di cash sonante, si compra per una sera un luogo sacro della cultura alta italiana non può che scatenare indignazione, soprattutto fra le generazioni più anziane che vedono nel lavoro dell’influencer la quintessenza dell’ignoranza e della nullafacenza tipica di questi sciagurati anni 2000. Questa posizione è indubbiamente classista, poiché scredita il lavoro dell’influencer e lo ritiene una forma di parassitismo che è tollerata finché rimane “confinata” a Instagram e TikTok. Però la Fogazzi sa bene che accanto a questa posizione dettata da uno schifo quasi fisico per la figura dell’influencer, ne esiste un’altra, assai più complessa.
Musei, accademie e brand: un matrimonio che (secondo alcuni) non s’ha da fare
Le polemiche sull’uso privato dei beni culturali pubblici non riguardano solo le influencer né sono portate avanti solamente da “boomer” che s’improvvisano leoni da tastiera. Da anni professori universitari, rinomati critici d’arte, lavoratori dei beni culturali e intenditori conducono una guerra quotidiana contro i brand che affittano musei, università e accademie statali per promuoversi. Secondo questi critici il rapporto fra brand e istituzioni pubbliche non è paritario, ma soffre alla base di uno squilibrio di potere: le istituzioni culturali sono in mancanza cronica di cash, e sono disposte ad accettare qualunque buon samaritano che sia disposto a sganciare grana pur di far quadrare il bilancio. Questo significa che il principio fissato dalla legge per cui il brand che vuole affittare un bene pubblico deve proporre un progetto in linea con la “sacralità” del luogo richiesto è un principio spesso non applicato, dato che il bisogno di denaro è tanto e chiunque sia disposto a mettercene non può certo essere allontanato da musei e accademie, agitando divieti e limitazioni dettati da una supposta “mancanza di rispetto” per il luogo. La questione non è di lana caprina: eventi con musica elettronica, non allestiti seguendo puntigliosamente le necessità di conservazione di dipinti ed edifici storici, aperti ad un’utenza scarsamente sorvegliabile, rischiano di danneggiare in maniera irreparabile beni dal valore economico inestimabile, il tutto per mettere in cassa qualche decina di migliaia di euro che dovrebbe essere lo stato (e non privati in cerca di pubblicità) a sganciare.
Tolta la polemica e i toni da clickbait la questione è quindi complessa, e certamente Estetista Cinica ha tutto l’interesse ad utilizzare solamente la questione classismo per dipingersi come vittima e chiudere in fretta la faccenda, tornando a fatturare in tranquillità. Il problema che si nasconde dietro queste polemiche è cronico, e tornerà di certo alla ribalta non appena un’altra influencer avrà l’idea di usare un bene culturale per promuovere il suo o l’altrui brand. In qualunque caso Cristina Fogazzi da questa polemica ne esce a testa alta: incassando la difesa del direttore della Pinacoteca di Brera, Angelo Crespi, e di un prestigioso quotidiano come il Corriere della Sera, ha dimostrato che ormai il lavoro e il ruolo dell’influencer sono riconosciuti ed apprezzati negli ambienti che contano.