TV
Saranno Famosi, Carlo Imparato, che nella serie era Danny Amatullo: “Vivo a Bologna. Non volevo quella parte, ma poi….”
In un’intervista al Corriere, l’ex protagonista del telefilm che ha appassionato milioni di ragazzi in tutto il mondo, si è raccontato a tutto tondo svelando in che modo ha ottenuto la parte e quanto si sia dovuto sforzare per integrarsi in un’America a quei tempi giudicante essendo figlio di emigranti italiani (padre napoletano, madre romana)
Vi ricordate di Saranno Famosi (Fame nella versione USA ndr.), la serie che negli anni ’80 ha fatto appassionare milioni di ragazzi in tutto il mondo? Il telefilm, sulla cui falsa riga è nato il talent show Amici di Maria De Filippi, narrava le vicende di una scuola d’arte americana e dei suoi protagonisti, alunni e insegnanti, e degli intrecci con le loro vite. Tra i nomi che sono rimasti legati alla memoria dello show, oltre quello di Lidia Grant (Grey’s Anatomy) e Lory Singer (Footloose) c’è quello di Carlo Imparato, che interpretava l’amatissimo Danny Amatullo. Proprio di recente, l’attore, ha rilasciato un’intervista al Corriere e in quell’occasione ha dichiarato di essersi trasferito in Italia per amore, più precisamente a Bologna. Ma non è tutto: Carlo ha anche parlato di quanto sia stato difficile esser figlio di emigranti italiani in America. Qui di seguito riportiamo la versione integrale dell’intervista.
Com’è arrivato a Bologna?
«Grazie a Silvia, la mia ragazza che è bolognese. Ci siamo conosciuti alcuni anni fa grazie ad amici comuni. Da cosa nasce cosa ed eccoci qui a fare avanti e indietro tra Los Angeles e l’Emilia».
Cosa le piace di più della città?
«Sono di origine italiana anche io. Entrambi i miei genitori sono italiani: mio padre è napoletano e mia madre romana. Amo il calore che c’è, l’importanza che si da alla famiglia, il cibo è spettacolare, si hanno bei rapporti con i vicini di casa, vai a lavorare tranquillamente. Insomma, è vita vera. Non come a Hollywood. È una città storica, con un’architettura che ti lascia a bocca aperta. Amo la nostra casa. Direi che mi piace tutto di Bologna. È come il mondo dovrebbe essere».
L’hanno vista allo stadio Dall’Ara alla partita. È un tifoso di calcio?
«Era la prima volta che assistevo ad una partita di calcio in Italia. In America vado allo stadio sia a New York che a Los Angeles. Ma qui … è stato come tornare indietro nel tempo. Come entrare al Colosseo. Che emozione. Non seguo il calcio come seguo gli sport americani, ma dopo quel pareggio all’ultimo secondo, sono diventato un grande tifoso rossoblù. Mi piace con quale naturalezza il calcio faccia parte della vita degli italiani».
Come mai non parla molto italiano?
«Per volere dei miei nonni e dei miei genitori. Hanno voluto che parlassi in inglese per non essere emarginato, per essere pienamente integrato nella cultura americana che a quel tempo era molto giudicante. L’hanno fatto per farci arrivare lontano nella vita senza l’ostacolo che una lingua diversa può rappresentare. Del resto, vivevamo a New York. Capisco l’italiano molto meglio di quanto lo parli, purtroppo. Ma sono sicuro che con tutti questi avanti e indietro, ritornerò in possesso di molti vocaboli che sentivo da piccolo».
Tornando a “Saranno famosi”: come ottenne il ruolo di Danny Amatullo?
«Quando volai a Los Angeles per fare il provino, non ero molto convinto di volere quella parte. Non avevo preso parte al film, non ero molto motivato. Arrivato al casting, con me c’era un altro ragazzo, tipico losangelino che si rifiutò di stringermi la mano quando mi presentai. Il suo essere così maleducato e poco professionale, mi ha motivato nel dare il meglio di me e portargli via la parte. E così è stato».
Come ha vissuto la fama dopo il successo ottenuto con la serie?
«Non mi sono mai montato la testa, non mi ha cambiato per nulla grazie al fatto che vengo da una famiglia che mi ha cresciuto con i piedi ben ancorati a terra. Ho sempre vissuto la recitazione come un lavoro, un lavoro come ce ne sono tanti. Sì, ok, ti dà la notorietà ma questo non ti rende migliore di un’altra persona che non è nota. Sono stato fortunato a vivere al meglio la mia professione e a restare il Carlo che tutti hanno sempre conosciuto».
Sono passati quarantadue anni dalla sua prima messa in onda di «Saranno Famosi» e ancora è una delle serie più note, che ha ispirato tantissime altre produzioni successive. Come mai si guarda sempre al passato?
«Perché si è sempre in lotta con un archetipo. “Saranno Famosi” è stato il primo di un genere mai narrato: giovani adulti che si impegnavano per realizzare il loro sogno. Era fatto molto bene sotto tutti gli aspetti: bravi attori, bravi registi, bravi autori, belle scenografie, bei costumi. Descrivevano la realtà come era a quel tempo. Ora si pensa prima ad avere il budget per gli effetti speciali e poi al resto. Una volta che uno show ha successo, invece di proporre qualcosa di nuovo, si propongono cloni perché è più semplice replicare una ricetta riuscita che miscelare nuovi ingredienti. Sono sicuro che si arriverà al trentunesimo episodio di “Star Trek” e al nono di Transformers”. E tutto questo replicare si fa solo perché assicura un guadagno facile, non ha nulla di nostalgico».