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Interviste

Nicola Pignatelli, il cantautore dell’inconscio: «Credo nell’indipendenza delle scelte» – L’INTERVISTA

La forma canzone è la nuova sfida di Nicola Pignatelli, cantautore salentino che fa della sete di libertà e di ricerca il motore di un’attività artistica in continua evoluzione. Ce ne parla in un’intervista, prima dell’uscita dell’album di debutto “Aria omogenea”

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Nicola Pignatelli, il cantautore dell'inconscio: «Credo nell'indipendenza delle scelte» – L’INTERVISTA
Nicola Pignatelli in uno scatto di Andrea Gabellone

Con Nicola Pignatelli ci concediamo un cambio di registro, per uno sguardo sul mondo che ci slega da dinamiche preconfezionate e ci ricongiunge a verità sottopelle, in un punto a metà strada tra conscio ed inconscio. Un po’ dentro e un po’ fuori dai binari, proprio come il  suo pop, che viaggia a velocità supersonica intercettando un po’ tutto lo scibile musicale e l’immagine-non immagine di Franco Battiato. Sta a noi cogliere l’essenza di un cantautore che rompe gli argini della monotonia con un suono paradossalmente familiare e la libertà propria di chi è veramente artista. Proviamo a conoscere e a comprendere meglio questo protagonista della musica italiana indipendente nato a Lecce, in terra di Puglia, non più giovanissimo ma prossimo ad un nuovo debutto discografico, in versione solista, con l’album “Aria omogenea”, in cui confluiranno i singoli “Fuoco” e “La montagna”, online su etichetta Nos Records. Di seguito la mia intervista.

L’INTERVISTA A NICOLA PIGNATELLI

Nicola, il tuo è un debutto solista maturo, sicuro, deciso e di spessore che non passa inosservato. Come mai così tardi?

Per tanti anni ho rifuggito la forma canzone, sentivo di non aver niente da dire in quella forma e ho seguito artisti che pur partendo da quella forma hanno proceduto ad una progressiva polverizzazione di quella forma. Mi sono sentito sempre molto permeabile, musicalmente parlando, a qualsiasi genere e forma musicale. Ho sperimentato con i suoni, facendo convergere nelle composizioni ogni genere dinfluenza sottopelle e usando liriche in forma di glossolalia, a volte in altre lingue. Tutto molto soddisfacente, ma non avevo una spinta a pubblicare qualcosa e neanche a promuovere il mio lavoro in alcun modo.

Solo cinque o sei anni fa mi sono chiesto che cosa potesse sorprendermi ascoltare per radio, che fosse cantato in italiano e che fosse magari canticchiabile in ascensore o sotto la doccia da chiunque, anche da chi non ne cogliesse appieno il senso. Quindi ho preso a lavorare intorno a questa idea di canzone preservando con cura le mie peculiarità e mettendo da parte aspetti troppo spigolosi del mio bagaglio e della mia sensibilità musicale. Non dico di esserci riuscito ma questo è stato il proposito che mi ha spinto ad intraprendere questo progetto.

Alle spalle ti lasci un’esperienza da frontman di band emergenti come i Der Blaue Reiter e i Burning Man. Quali sono le migliori canzoni che ti porterai dietro?

Mi porto dentro tutto il pacchetto, breve e intenso qual è stato. Qualcosa di primitivo e dadaista, spontaneo e ricercato al contempo. Una manciata di canzoni creata con persone speciali: forse Catarsi, Hard situation e Big Jesus le canzoni che lasciarono di più il segno all’epoca.

Quali sono invece gli errori più pesanti con cui hai fatto pace?

Infondo sono gli errori di cui sono passibili tutti: errori di valutazione, di leggerezza, parole non dette, spiegazioni non date, abbagli clamorosi. Ognuno però viaggia a velocità diverse, con soglie di consapevolezza diverse, tra colori, sfumature e atmosfere differenti. Io ho fatto pace con il genere umano e di conseguenza con me stesso in quanto esemplare di esso.

Nella tua biografia si legge che vivi e lavori a Lecce. Da sempre?

No, ho vissuto tra Bologna e Roma con una parentesi berlinese e una londinese.

Nella vita ti senti più preda o più predatore?

Non sento di rientrare in una dicotomia così netta. Credo nelle occasioni che ci si presentano e nell’indipendenza delle scelte. Anche il predatore più incallito ogni tanto avrà pur voglia di abbandonarsi e diventare una preda.

In una quotidianità in cui cambiamento e diversità generano paura e odio, è più facile specchiarsi nella propria identità?

Se con identità intendi dottrine identitarie, sì credo sia molto facile. È un modello in cui si semplifica la complessità della esistenza con poche e chiare formule di pancia e nei periodi critici e socialmente complessi guadagna molto appeal sull’uomo della strada, su chi non vuole pensare e delegare, su chi è a caccia di capri espiatori per giustificare i propri malesseri. Se invece per identità intendi ricerca personale del proprio canale espressivo e della propria soggettività, tifo per questa. Ci si confronta, si condivide ma il nucleo soggettivo deve rimanere cristallino, vivo, nutrito ogni giorno.

Gli Italiani che continueranno a votare e a sostenere Giorgia Meloni sono nostalgici fascisti?

Credo che tra chi ha votato la Meloni si trovi un po’ di tutto, anche nostalgici del ventennio ma non solo. Percepisco una sorta di fisiologia sociale della storia che adesso si sta realizzando in tutta la sua evidenza. La gente si è arresa quasi “volentieri” all’estrema destra. Oggi questa gente sarebbe disposta a privarsi di alcune libertà e di alcuni diritti per immaginarsi fuori dal caos. E potrebbe anche girarsi dall’altro lato se vedesse un diritto calpestato al fine di uscire dal caos. È successo anche in passato senza che ce ne si accorgesse. Risultato: la democrazia, che è un modello delicatissimo, è entrata in crisi in tutto il mondo.

«Caduto un simbolo arriva la fine» canti in “Fuoco” e nel relativo video, così come nella copertina del singolo, la protagonista alza al cielo una stella, simbolo di luce, speranza, energia, libertà, eternità, vita. È un riferimento al decadimento culturale e umano contemporaneo strettamente legato al consenso delle politiche razziste, omofobe e oscurantiste dell’estrema destra?

In realtà richiama, in parte, alcune impressioni che ebbi durante il soggiorno berlinese. Spesso vedevo, fermi agli angoli delle strade, uomini piuttosto anziani osservare chiunque passasse per delle lunghe ore. Qualcuno mi disse che erano ex-impiegati della STASI che, caduto il muro, erano rimasti “cristallizzati” nell’epoca della DDR perché la maggior parte della loro esistenza era trascorsa sotto di essa. Rimasi moto impressionato da quanto avevo scoperto e anche da altro. La “fine” rappresenta appunto il mondo radicalmente cambiato. Il credo per il quale si è vissuto che svanisce. In effetti pensai alle grandi illusioni che attraversano la storia e, per estensione, a quelle personali che attraversano la vita di chiunque. Volevo che Fuoco fosse una sorta di preghiera a non lasciarsi affascinare da un credo massificato ma a lasciar fluire in sé le proprie peculiarità, la propria autonomia di giudizio.

La canzone sembra anche nascere dalla tensione tra due soggetti e dall’accavallarsi di carnalità e inquietudine. Storia e personaggi sono reali? 

No, non nel senso della narrazione di una storia. Si tratta di istantanee che si stratificano nella mia mente e che attraverso la canzone trovano un senso. Letture, vicende vissute, riflessioni. Ci sono più piani che sovrappongo spontaneamente, da quelli consci a quelli inconsci. Nulla è mai totalmente esplicito. Se sento che qualcosa sulla quale sto lavorando mi sta suscitando una sorta di meraviglia, di inaspettato, mi soffermo e provo a non sciupare tutto.

Con i tuoi primi due singoli, “La montagna” e “Fuoco”, hai reso omogenee influenze musicali lontanissime. Cosa ci hai messo dentro? Io ci sento le sonorità anni ’80 e la poetica di Franco Battiato…

Il mio background è post-punk new-wave, ma ho sempre amato la musica classica, la musica antica, il jazz, i canti degli alpini, la musica sacra e tanto altro. Quando ho iniziato a comporre le mie canzoni, usando un computer ho puntato molto sull’elettronica perché mi offriva un certo grado di autosufficienza creativa. Così, provando a cantare in italiano ho cercato delle forme metriche naturali e spontanee che ben si legassero a questo tipo di tappeti musicali. Credo di incorporare nelle mie melodie e nelle liriche tanti artisti che ho amato e che che amo. Ma lo faccio a modo mio: come se fossi all’interno di una stanza immaginaria con i miei ispiratori e ci mettessimo a scambiare idee. Con grande rispetto da parte mia e provando a conservare una sensazione intima per ognuno di essi da portare con me e tradurla in una chiave nuova. Amo artisti molto diversi tra loro e dentro di me convivono in maniera dialettica. È chiaro che Battiato rientra pienamente nel Gotha degli artisti italiani che hanno sortito più effetto su di me.

Il tuo pop come lo definiresti?

Non saprei, pop dell’inconscio forse, se vuoi anche collettivo, un po’ dentro e un po’ fuori dal pop.

Che ne pensi del pop selezionato per l’ultimo Sanremo e per l’ultimo Eurovision? Ti è piaciuta qualche canzone e ti sentiresti adatto a scrivere per qualcuno degli interpreti di uno o all’altro Festival?

Conosco poco del pop italiano attuale ma naturalmente mi è capitato di ascoltare qui e la le canzoni selezionate per entrambi i festival. Mi nutro di indie per immaginarne versioni pop. Tra quelli che ho ascoltato Colapesce, benché diverso dalla mia poetica sembra quello con un percorso più coerente, un mix di immagini, linguaggio e ironia ben congegnato. Mi piacerebbe molto scrivere per altri, sarebbe sicuramente molto stimolante.

I chiaroscuri caratterizzano sia le tue musiche sia i tuoi testi. Il mito della caverna di Platone, in cui il regno delle tenebre si contrappone al regno della luce, ha tratteggiato la salita de “La montagna”?

In qualche modo si ma non del tutto. Nel senso che l’idea era quella di parlare del desiderio, anche del desiderio di conoscere, di capire. Per semplificare: del partire da un punto A per raggiungere il punto B che è l’oggetto del desiderio qualunque esso sia. Ho voluto parlare di ciò che sta in mezzo a questi due punti attraverso immagini che non fossero legate alla quotidianità ma alla natura, alle corrispondenze, avrebbero detto i simbolisti.

Possiamo dire che il tuo imminente album di debutto, “Aria omogenea”, ricalca il mood de “La montagna” e che quindi nasce dalla voglia di esserci e svela un bisogno di eternità?

Tutti i pezzi che ho registrato per l’album sono stati sottoposti ad un trattamento di arginamento da eccessi solipsistici, da derive troppo sperimentali anche a livello linguistico e da accessi di provocazione. Questo mi è servito a creare una certa omogeneità tra le tracce dell’album in preparazione e a farmi un’idea di come strutturare “la mia canzone pop”.  I temi restano gli stessi: desiderio e spiritualità. Ovviamente declinati in maniera diversa in ogni canzone.

Qual è l’immagine che più ti descrive?

Mai sazio, mai soddisfatto pienamente e sempre alla ricerca.

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BIOGRAFIA, ECCO CHI È NICOLA PIGNATELLI

Nicola Pignatelli, autore, compositore, musicista, vive e lavora a Lecce.

L’artista muove i primi passi in ambito musicale nella seconda metà degli anni ’80 come cantante e chitarrista in alcune band post-punk e new wave della provincia di Lecce (Der Blaue Reiter) e Bologna (Burning man). Negli anni ’90 si avvicina alla musica elettronica sperimentando nel proprio home studio sonorità electro, sampler music, triphop e glitch attraverso strumenti digitali e cantando in inglese.

Occasionalmente offre la propria musica per happening teatrali e di poesia. La ricerca dell’artista si spinge in questa fase verso lo studio di paesaggi sonori e spoken-word lontani dalla classica forma canzone. Dal 2018 intraprende un nuovo percorso creativo volto al raggiungimento di una forma propria di canzone in italiano. Ormai approdato a un’idea personale di scrittura e avendo affinato un proprio stile, maturato grazie ai diversi esperimenti musicali, dal 2019 lavora alla creazione di un proprio album prodotto da Marco Ancona (Bludinvidia, Fonokit, Marco Ancona & Amerigo Verardi). L’album in lavorazione è permeato da influenze disparate: dall’electro contaminato da suggestioni newwave e postrock (beat sintetici con incursioni di chitarre postpunk e alt-rock) al kraut in salsa elettropop. Grande attenzione è dedicata alla costruzione dei testi (quasi mai narrativi) che catturano istantanee del quotidiano, impressioni personali, cut-ups.

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Crediti Foto: ANDREA GABELLONE

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